Domenica, 3 Settembre 2006
Strudel e stelleMi riesce bene lo strudel di mele, ma proprio bene, da leccarsi
la punta delle dita. Mi piace pensare che son brava a fare lo strudel
come la moglie di Angiolino fa le frittelle
nella bellissima canzone di Paolo Conte. Mi cimento da quando avevo
vent’anni , oramai due decenni fa, ma il vero segreto risale a circa
nove anni fa. Fu allora che ebbi in dono un vecchio ricettario, il ricettario
della Ada Boni,” Il piccolo talismano della felicità” . A pagina 385, una ricetta per la pasta dello strudel indica
una proporzione di soli Mi è capitato di ripensare a questa
cosa durante la vacanza appena conclusa. Sono andata al mare con un
sacco di preoccupazioni, ed anzi la preoccupazione
era solo una ma aveva il potere di generarne molte altre, come
quelle papere giocattolo che si portano dietro una fila lunghissima
di paperette. Con una di queste papere seguita da almeno sette otto
paperette sono andata in spiaggia una sera tardi col mio compagno, ci
siamo stesi sulle sdraio a guardar le stelle.
Un lampione alle nostre spalle rompeva le scatole, abbiamo parlato un
po’ dell’inquinamento luminoso, un po’ più lontano non mancava neppure
l’inquinamento acustico (ci arrivava, pur attutita, della musica noiosamente
ripetitiva). Ad un certo punto qualcosa è cambiato, ed io non so trovare
paragone migliore, per raccontare il cambiamento, della casseruola
capovolta che tiene al caldo la pagnottina. La grande
volta stellata che si dilatava fino ai nostri piedi facendo scudo e
respingendo umane luci e umane voci, mi sembrava la grande volta bucherellata
degli antichi greci. Sembrava emanare calore, magnetico silenzio. Non
so quanto siamo rimasti a guardare in su, parlando
appena di tanto in tanto. Abbiamo visto delle stelle cadenti, e ci serviva
proprio vederle, tre io e due lui. La pittura può raccontare simili
emozioni, un grande artista contemporaneo ,
Anselm Kiefer, ha dipinto negli anni Novanta su questo tema un lavoro
di straordinaria bellezza e forza.”Falling stars”. Pittura di
enormi dimensioni, ma non sono queste a far venire il capogiro.
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Lunedì, 4 Settembre 2006
Giochino
Anch’io rilancio questo gioco: si tratta
di elencare 5 proprie abitudini strane, poi "nominare" 5 bloggers
che dovranno fare altrettanto. Elencandoli e lasciando sui loro blog
un commento che reciti "SEI STATO SCELTO" ed un link al post… A chi non continua questa catena non succede assolutamente
nulla, al massimo gli si buca un calzino prima
del previsto, o si addormenta in vasca da bagno, o gli si brucia il
pane vecchio che ha messo in forno a scaldare. Niente più. Chi lo diffonde
sparge nell’aria un po’ di allegria, di ironia
e di leggerezza. Allora: 1)Appoggio le cose in bilico, sul bordo del tavolo, non so
perché, forse non voglio sentirmi sola, in bilico, intendo (una volta
superai me stessa lasciando in bilico su una balaustra al terzo
piano un vaso enorme con acquaragia e decine di pennelli). Quando lo
faccio non me ne accorgo, lo vedo solo quando
ripasso. Non ho mai fatto danni. 2) Dipingo rigorosamente in ginocchio, ho iniziato più di vent’anni
fa quando dipingevo in una soffitta; ora che il posto ci sarebbe , sopra il mio capo, non riesco a tirarmi su, ma un po’ mi
va bene, dipingere è il mio pregare. 3) Lo raccontavo a Baskerville, ho un bel po’ di comportamenti
compulsivi, tendo a tornare spesso sui miei passi,
per essere certa, del gas, dei rubinetti chiusi, della porta,
delle finestre, del ferro da stiro staccato, del freno a mano e qui
mi fermo sennò mi viene l’ansia. Ma certa
non mi sento poi veramente mai. Comunque da
un anno due va meglio. 4) Ho una capacità straordinaria di astrarmi dal mondo reale
quando questo mi risulta tedioso o quando un
altro mondo mi fa toc toc alla porta e mi chiama a sé; è il caso
di internet , blogs e delle telefonate degli amici. Può anche cascare
il mondo, i miei figli si possono sfidare in duelli mortali, il mio
compagno fornicare con la vicina che è venuta a restituire lo zucchero
ed io non mi accorgo di nulla. 5) Diversamente da Holden riesco a
stare completamente immobile. A lungo. Ricordo una volta a Londra
, in uno dei tanti corsi che frequentai ,una sorta di maturità
di lingua inglese, ci chiesero a gruppi di parlare dell’Otello di Shakespeare;
si trattava si spiegare, argomentare, confrontare le proprie opinioni
con quelle degli altri, il tutto davanti ad una telecamera per produrre
una cassetta che sarebbe stata poi essa stessa prova d’esame. Quando
l’insegnante (Paul, un dublinese di un’intelligenza da brivido) riavvolse
il nastro perchè potessimo guardarlo e commentarlo insieme,nell’effetto
"ridolini" del riavvolgere, rimasi esterrefatta nell’osservare
che tutti gli altri si muovevano, gesticolavano, si agitavano, ed io
ero l’unica a star ferma, ferma da fare impressione. |
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Martedì, 5 Settembre 2006 Aver cura delle candele fino all’ultimo, anche se sono mozziconi
da niente, sbocconcellati dalla combustione ,
sbeccati da ogni lato, storti, next to nothing. Anche
se lo stoppino si è perso in mezzo alla cera e sembra impossibile
recuperarlo. Se riesci ad accenderle
ancora, fanno la stessa luce di prima, anzi, a ben guardare, sembra
anche un po’ più chiara. |
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Martedì, 5 Settembre 2006
Caro Paolo
E’ il mondo delle
cose belle,sì, delle cose che coesistono e
stanno l’una accanto all’altra senza conflitto. Bello sarebbe stare
accanto agli altri e sommare la nostra luce alla loro, mantenere il
nostro colore e avere in regalo una due velature
da chi ci è vicino; nel tuo lavoro accade. Esempio
magistrale di quell’equilibrio dinamico del quale abbiamo tanto parlato.
Sembrano personaggi che vanno dove si sa che si deve andare, senza fretta;
il blu sovverte le regole ed è più deciso di tutti nel mettersi in gioco,
rosso e verde sono complementari nell’esitazione di un istante, i gialli
contengono, incorniciano suonando le trombe della luce. Poi c’è il coraggio
della direzione opposta, dell’ortogonalità che per la scelta del colore
arancione diventa leggera, ascensionale (stairway to heaven?).
I frammenti di pastelli diventano alla fine un tratto d’unione,
un vento di parole di poesia che fa felici tutti. Idea
della luce, del gioco, della leggerezza e del movimento, dell’esattezza.Complimenti. |
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Giovedì, 7 Settembre 2006
Fiori per Rapida
Un mio lavoro virtualmente per te
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Venerdì, 8 Settembre 2006
Camera oscura
Ho fatto bene ad
alzarmi ,sapeste cosa ho scoperto documentandomi
un po’ per questo post (tanto quando non si dorme non si dorme, passata
mezz’ora a rigirarsi nel letto tanto vale alzarsi e scrivere ) .Ho una
storiella da raccontare. Piccola,bella, o almeno
mi sembra. Passano zanzare grosse come elicotteri mentre scrivo, il
caldo le ha fatte tornare, se ho contato bene sono tre. Spero
di avere la meglio con loro. E’ successo durante la mia ultima vacanza (la prima vacanza
lunga della mia vita).Primo pomeriggio, stesa con
mio figlio di cinque anni sul letto, la stanza nella semioscurità.
Effusioni, la gioia e il privilegio consapevole e goduto fino all’ultimo
di non aver nulla da fare e poter star lì un po’ a guardare il soffitto
con lui prima di andare al mare. Guardando su la vedo
all’improvviso, nitida come solo quella volta ben dentro la mia infanzia:
l’immagina capovolta di ciò che sta fuori proiettata sul soffitto, la
pavimentazione esterna grigia e rossa a scacchi, il triciclo giallo
e verde smeraldo. Effetto Madeleine per me, rivivo
in un istante un’emozione passata, ricordo perfettamente quando da piccola
un pomeriggio di forzato riposo mi accorsi che sul soffitto vedevo passare
le macchine in strada, piccole e precise, solo capovolte. Capisco
una volta di più il fascino che per me ha la penombra quando fuori la
luce è fortissima ed è caldo. Anche questo
c’è dentro l’emozione dell’estate per me, quel ricordo lontano. Prendo la mano di
G., e gli racconto, “L’ho visto un giorno d’estate
di tanti anni fa ed avevo la tua età .Guarda che bello, quello
che fuori è a destra noi lo vediamo a sinistra, capovolto.Adesso io
esco e tu mi vedrai sul soffitto”. Vado e rientro.”Ma non si vede bene bene” “Se guardi con attenzione si
vede benissimo, è come la televisione ma con la magia sopra”. L’appuntamento con quella visione è continuato quasi ogni giorno,
ho reso partecipe anche C. (otto anni), abbiamo sostituito il triciclo
con il canotto, il canotto con lo stendino con gli asciugamani colorati
stesi, abbiamo aggiunto la palla rossa,sono
uscita ancora io e mi hanno vista loro, sono usciti loro e li ho visti
io, visione sfocata che li trasformava ai miei occhi in bagnanti dentro
un mare di luce .Felicità degli occhi e dell’anima. Presto racconterò loro l’aspetto scientifico della faccenda,
soprattutto a C. che mi beve quando parlo come se fossi una fonte d’acqua,
non so neanche se mi merito un figlio così, racconterò anche di Fontanellato,
il piccolo paese celebre per una Rocca al cui interno, oltre ad uno
straordinario ciclo pittorico del giovane Parmigianino, c’è una camera
oscura dalla quale si può vedere la piazza intera del paese. Prima di iniziare
a scrivere questo post, cercavo su internet conferma
di queste cose su Fontanellato, (saranno passati quindici anni da quando
vi portai una classe in gita scolastica) scoprendo così che c’è un fotografo
molto bravo che ha lavorato tanto sul tema della camera oscura. Lo metto
nei miei bookmarks, ve lo segnalo (http://www.abelardomorell.net/), ne
pubblico alcune bellissime immagini, con e senza camera oscura. Ho fatto
proprio bene ad alzarmi, le zanzare finora non mi hanno punto, le due
rimaste intendo. |
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Lunedì, 11 Settembre 2006
Il
quadro più bello del mondo (luglio 2006)
Ma
c’è o non c’è, il quadro più bello del mondo? No, non c’è. E’ ovvio
che non c’è. Borges citava il pensiero di Berkeley, il filosofo irlandese;
il sapore della mela – diceva- non è nella mela, ma nel contatto
tra la lingua e la mela. E allora , se chiamiamo
mele i libri e i quadri che valgono per tante persone ( su questo ragiono
ora), esistono infiniti libri in un unico libro, infiniti quadri
in un unico quadro, e se non sono infiniti sono tanti quanti
gli incontri tra quel libro, quel quadro e una persona. Nel tempo, nello
spazio. Figurarsi se ha senso fare delle classifiche. Oltre a questo lo stesso quadro viene
vissuto in maniera diversa negli anni, ci sono quadri che un tempo mi
piacevano e basta e adesso potrei prostrarmi di fronte ad essi. Altri
che mi emozionavano alle lacrime ed ora non più (Salvador Dalì, per
esempio). Tuttavia mi piacerebbe tentare il racconto dei quadri
più belli del mondo per me , negli anni. E sentire se qualcuno mi racconta
il suo quadro più bello. Posso pensare a questo blog anche come
ad una sorta di palestra dove verrò ad allenarmi per la fatidica domanda
che ti fanno quando meno te l’aspetti “Ma qual è il tuo artista preferito?”
“E il tuo quadro preferito?”. L’ultima volta che me l’hanno fatta mi
sono sentita a disagio perché non riuscivo a decidermi da chi partire.
Se mi alleno qui, metti una volta al giorno
( mi toccherà farlo di notte) la prossima volta che mi viene rivolta
questa domanda io, che ho una memoria visiva , ripercorro mentalmente
i miei post, senza esitazione, tentennamenti, discernendo, raccontando… Parto in un punto a caso della mia vita .
Per due anni, almeno”La grande riserva” di
Friedrich è stato per me il quadro più bello del mondo. Bello
da farmi pensare e progettare un viaggio a Dresda per andarlo a vedere,
bello da vederlo anche ad occhi chiusi. Aveva come il potere di consolarmi, ce l’ha
ancora, dev’essere la visione dall’alto che sempre, per me, ha un effetto
lenitivo; sollevandosi dalla pesantezza delle cose terrene e guadagnando
lo spazio aereo, la percezione delle cose muta (lo diceva anche Terzani
in uno dei suoi libri, l’ha detto Calvino). Ci sono cose che anche se
viste o immaginate dall’alto sono orribili, quel che capita in questi
giorni in Medio Oriente è orribile ed inaccettabile da qual si voglia
punto di vista. Allora parlo del destino individuale, quel che accade
a me: se lo guardo a volte dall’alto è meno peggio.
Faccio questo esercizio di ginnastica da tanto tempo. Già da cento metri sospesa in alto i miei marcatori sballati sono
poca cosa, invece con i piedi per terra fanno tremare le gambe. Ma torno a me di allora, quindici anni
fa circa. La parte inferiore del dipinto mi sembrava il mondo visto
dall’alto, era per me un’emozione visiva altissima
. Non avevo ancora mai preso l’aereo, allora, non ero salita
ancora sulla mongolfiera a Vauxhall, né sul London Eye né sulla Torre
Eiffel.. Non avevo raggiunto la cima di nessuna
montagna , non c’era ancora Google Earth, con i suoi incantesimi
da brivido. La pittura mi insegnò allora un’attitudine
della mente, moltiplicando all’ennesima potenza l’emozione che allora
avevo provato solo guardando la pianura dall’alto delle mie colline. Ancor oggi, mi incanto a guardare
“La grande riserva” . Non sai se è un quadro triste o allegro (allegro
proprio no, ma è triste?). Non si capisce se è un’alba che si apre o
le ultime luci di un tramonto. Di sicuro le luci del cielo entrano dentro
il corpo della terra, più lucenti di quanto non fossero
in cielo come se questo fosse qualcosa che davvero è nelle nostre possibilità,
e cioè che nella melma e nella fatica del quotidiano, la luce
possa entrare, forte , intensa. A tratti. E’ possibile,
il dipinto me lo promette. Il cielo è terso e chiaro in alto,
cielo dell’anima più che cielo reale, e non si stenta a credere
alle parole che ci sono rimaste della moglie di Friedrich, quando dipinge
il cielo-diceva- è intrattabile. Amo Friedrich, solo quest’anno l’ho sacrificato nel programma
a scuola per far posto ad altri artisti e me ne sono poi pentita.”Un
pittore deve dipingere quel che vede dentro di sé. Se dentro di
sé non vede nulla, lasci pur perdere di dipingere quel che vede fuori
di sé”. Vale ancora, questa sua raccomandazione |
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Martedì, 12 Settembre 2006
L’ombra delle cose
Parlo in questo caso dell’ombra portata, e cioè dell’ombra che l’oggetto proietta quando viene colpito
dalla luce. Ci sono dei lavori dove l’ombra esalta il reale, ne canta la
bellezza, si dimentica del colore per celebrarne la forma. Penso per
esempio a certi bellissimi lavori di Francesco Stefanini. La realtà
resta sconosciuta ma siamo rassicurati , certi
della sua presenza univoca pur fuori dal nostro campo visivo. Ammaliati,
paghi. Ci sono lavori che mi sembrano giocare con un’idea opposta,
e cioè lo slegarsi dell’ombra dalla realtà
della quale essa è proiezione.L’ombra si anima di una vita propria.E’
il caso di un bellissimo lavoro di Cornelia Parker
,"Cold Dark Matter: An Exploded View ". L’opera è al
centro della stanza, complessa ma affascinante, ma ad incutere timore
sono le ombre proiettate tutt’intorno, su muri, pavimento e soffitto. Io amo la pittura-pittura, ma ci sono ricerche artistiche
apparentemente lontane da essa che alla fine
mi restano dentro e mi suggeriscono pensieri e riflessioni. Questo è
il caso. La realtà resta sconosciuta, complessa, non ci basterà una
vita per dare a noi stessi risposte certe.
Possiamo grattarne con le unghie la superficie ,
il rischio di spezzarcele è altissimo, ma tante volte sta a noi, alla
direzione e all’inclinazione che lasciamo che i nostri pensieri prendano.
Una realtà amarissima può trasformarsi attraverso una rielaborazione
personale in una realtà accettabile, persino in poesia, o al contrario
possiamo avere tra le mani una realtà di armonia
che per la debolezza del nostro pensiero si trasforma in fantasma. |
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Martedì, 12 Settembre 2006
Dodecaedro stellato
Pubblico, sperando che un giorno di questi Dodecaedro stellato apra un blog, che ne ha di cose
da raccontare. Cara Laurette, raccolgo la tua amabile provocazione, ed eccomi
qui ad offrirti i miei pensieri sulle tue riflessioni. Dunque, dire quello che ritengo sia il quadro piu’ bello del mondo e’ una domanda che non credo mi sia mai
stata fatta, per fortuna. Perche’ indica una mentalita’ da hit parade
che mi ripugna quando e’ associata all’arte. Invece mi e’ stato chiesto molte volte
di indicare i miei artisti preferiti. In questi casi, spesso quando mi fanno la domanda
mi si prosciuga istantaneamente il cervello. Ma
il cuore sa bene come le "preferenze" - ma si dovrebbe dire
gli amori - vengono, a volte vanno, a volte rimangono. E
soprattutto, crescono e si accumulano. A questo proposito, ti racconto un breve scambio di battute
avvenuto a Londra circa 17 anni fa. Ero incinta per la seconda volta;
a un’ amica confidavo che non capivo come sarebbe stato possibile
allagare il cuore di un altro amore, visto che mi sembrava di amare
gia’ mio marito e la prima figlia al massimo delle potenzialita’ umane.
"Il cuore si espande", mi rispose lei, ferrata in materia. E cosi’ e’ stato, e poi ancora per il
terzo figlio, e allo stesso modo per i tanti artisti che hanno accompagnato
la mia vicenda umana. Tutti insieme questi
amori, come tu sai benissimo, riempiono il cuore, e la mente, e gli
occhi. E le mani, quando siamo noi in studio davanti
al cavalletto. Insomma, fanno di noi cio’ che siamo. Si cresce, si cambia, in continua evoluzione come stelle o
soli che ardono. A 16 anni trovarmi inaspettatamente davanti a un Modigliani mi tolse il respiro. Adesso i miei amori sono
altrove, ma l’aver amato Modi’ mi ha reso quella che sono oggi. Voglio
dire che i passati amori formano l’ossatura, le mura maestre di cio’
che siamo in questo momento. Educano. E come
tali non cambiano veramente e non scompaiono mai. Rimangono nel nostro
DNA. Anche se adesso sono altri gli artisti
che ci commuovono, non sarebbe potuto accadere se non avessimo amato
tutti quelli che sono venuti prima. In questi giorni
come sai sono accecata da Lorenzo Monaco. Lorenzo monaco
e’ un grande amore per me. Da anni vado infilando citazioni dei suoi
lavori dappertutto. Le sue immagini, da quelle grandi a quelle minute,
e spesso soprattutto i piccoli dettagli che stanno ai margini delle
tavole, una volta viste rimangono nel cuore incise
a fuoco, profumando d’amore, di luce, di beltade. Lo dico male, e vedo bene che le parole non mi soccorrono.
Ma sai cosa? E’ meglio cosi’. Lorenzo monaco e’ l’ineffabile, lo
squisito. La soglia oltre la quale il cuore canta e la lingua ammutolisce,
e si puo’ solo guardare, con riverenza e amore infiniti. Madonne, bambini, angeli e santi, il solito catalogo. Ma i
colori!!! Ma la dolcezza infinita, struggente!!!! I colori, i colori soprattutto. E apposta per questo lo voglio
dire a te, che i colori hai nel cuore. Ci sono colori, in queste tavole, che sono dei miracoli. Non
so e non m’importa affatto di sapere da quale pianta o minerale mai
certi viola, certi rosa e certi gialli siano originati.
Una volta dipinti sono diventati qualcosa che annuncia il paradiso,
un’altra vita, altre luci. Ci sono viola rosati che trascorrono in altri colori per i
quali non esiste nome. Gialli - ma com’e’ riduttivo chiamarli,
semplicemente, "gialli" - che cantano laudi angeliche. Non sono colori, ecco: sono musica. Musica sacra. E per chi, come me, e’ allergico alle
strutture della chiesa e del clero, non resta che piegare il capo e
lasciarsi prendere per incantamento. Ci sono per esempio profeti seduti, tavolette di 50 x 40, che
mi fanno piangere. Se da una parte, voglio dire, mi
inorridiscono questi vecchi barbuti e patriarcali, dall’altra
i panneggi che rivestono la solidita’ dei loro corpi, e soprattutti
i colori di queste vesti, tolgono il respiro. "Si puo’ arrivare fin qui", si dice in Toscana. Poi
non c’e’ un non plus ultra, questo e’ il massimo. Forse questi sono premonizioni d’ estasi. Forse sono estasi..Nel nome dei straordinari e ineffabili colori ti abbraccio, dodecaedro stellato.
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Mercoledì, 13 Settembre 2006
Silenzio
Ieri sera cercavo un’immagine che mi serviva a chiarirmi un pensiero. Era come una necessità interiore di affilare un bulino, temperare alla perfezione una matita, ma su google immagini non sono riuscita a trovare ciò che cercavo, e il mio lapis è lì sul bordo del tavolo, con la punta spezzata. Va bene anche così. Evidentemente serviva che io cercassi quell’autore, quella foto, perché solo così oggi ho potuto ripensare per collegamento spazio-temporale ad un disegno meraviglioso (aiutatemi a dire meraviglioso) che vidi due anni fa al Mart nella mostra “Il bello e le bestie”. Rimasi trafitta – allora- dalle grandi carte di questa giovane artista, disegni luminosissimi, dolcissimi e inquietanti , moderni ed antichi; il corpo che non è mai solo corpo, il corpo che è spirito; un volto , sempre lo stesso, che torna ossessivamente ma non sai se arriva dall’Oriente o da quel punto radioso del Rinascimento che fu l’esperienza sublime di Piero della Francesca. Oggi ho ripensato a questa giovane donna artista e mi sono chiesta “Chissà che fa, ora…” Google search e scopro che ha un sito bellissimo (http://www.juulkraijer.com), una miriade di lavori uno più bello dell’altro. Quando si dice che il vero artista è quello che ti spalanca un nuovo modo di guardare le cose…Ho la sensazione di aver passato il pomeriggio con lei, che abbia aggiunto sfumature alla mia capacità di percepire e godere del silenzio. Silenzio dentro, silenzio anche se intorno il vociare dei bambini è lo stesso e verso sera è faticoso, silenzio anche se il telefono squilla sempre all’ora di cena e mi si propongono invariabilmente nuove tariffe telefoniche sempre più vantaggiose. Silenzio. Lancio con gioia in questo istante un aereo di carta per voi. Andate a vedere, perché io non ho parole(http://www.juulkraijer.com ).
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Giovedì,
14 Settembre 2006
Sgamata
(Interno notte)Bambino: Ma, e se tu muori prima di me?Donna: E’ molto probabile, tu hai cinque anni e io quaranta…Ma vedrai, capiterà tardissimo, e poi ci rincontreremo, ti ho raccontato.(zanzara che passa. lei si alza e va ad accendere il vape dall’altra parte della stanza. Tornando rimbocca le coperte al bambino più grande) Donna: Sei preoccupato per me?Bambino: SìDonna: Perché?Bambino: Stai un po’ bene e un po’ male. Fai sempre le analisi.(pallina che rotola sul pavimento al piano di sopra)Donna: Ma io sto bene, lo vedi, e poi fare le analisi serve a prendere la medicina giusta..(centrifuga di lavatrice)Bambino: Arimidex, l’hai preso stasera, vero? (centrifuga che finisce)Donna: Sì, tranquillo.Bambino: Prendilo sempre così non muori.( Tre macchine passano in rapida successione in strada. Asfalto bagnato)
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Martedì,
19 Settembre 2006
Tre (Rothko per me )
Tre
porte, tre libri che aspettano di essere letti, tre libri che aspettano
di essere scritti, tre pagine tre, |
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Giovedì,
21 Settembre 2006
Le ali
Persegui
lo scopo, non curarti del mezzo:
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Giovedì,
21 Settembre 2006
Latte alla finestra
Renè Magritte, L’impero
delle luci, 1954 Provengo da una famiglia di origine contadina . Avevamo delle mucche, tre o quattro non ricordo, che mia madre mungeva mattina e sera. Parte del latte era raccolta dal lattaio che passava col camioncino, parte la vendevamo a gente del vicinato. Ricordo con nitidezza la signora Livia che per anni prese il latte da noi. Arrivava all’imbrunire, entrava dal cancelletto, attraversava il breve giardino dalla parte della strada, apriva gli scuri , prendeva la bottiglia piena e la sostituiva con quella vuota, accostava gli scuri e se ne tornava via. E’ durata per diversi anni, tutti gli anni Settanta di sicuro .Qualche anno fa la signora Livia confidò a mia madre “Quanto vi invidiavo a vedervi la sera, tutti insieme, addormentati, stanchi e felici”. Questo capitava, aveva ragione. Da quando mi è stata riferito questo suo ricordo rivedo la scena dal suo punto di vista .Come se potessi affacciarmi alla finestra illuminata del dipinto di Magritte (che importa se nel dipinto di Magritte la finestra illuminata è al primo piano), grande fiammiferaia in un mondo alla rovescia, che vede una famiglia povera e felice. Proprio così, povera e felice. Si addormentava mio padre subito dopo cena reclinando il capo sul tavolo, stanco morto , a seguire si addormentava mia madre e poi tutti noi fratelli (cinque). Capaci di starcene lì anche due ore finchè mia madre si svegliava ed iniziava a mandare a letto prima noi piccoli, via via i più grandi e poi mio padre. Sembrerà inverosimile ma andava proprio così, se non sempre molto spesso, qualcuno di noi conserva ancora ora un rapporto strano col sonno, io di sicuro, capace tuttora di addormentarmi in una compagnia d’amici o persone care mostrando senza problemi quel segno d’amore che è l’abbandono. L’immagine che conservo per me è ora questo: la finestra del dipinto di Magritte e oltre una famiglia che intorno ad un tavolo divide il pane, il sonno, e fors’anche i sogni. |
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Sabato,
23 Settembre 2006
Pioggia sottile
E poi la grande emozione che fu ritrovare la mia di madre. La cercavo da almeno dieci minuti in mostra, persa in chissà quale sala, e la ritrovai seduta che si guardava il video su Giacometti, con le lacrime agli occhi , certo pensando più che altro alla somiglianza con mio padre. In quel momento, proprio in quel momento, il video mostrò un Giacometti oramai avanti negli anni, un sorriso si aprì sul suo volto e noi ci accorgemmo che gli mancavano gli stessi denti che mancavano a mio padre negli ultimi anni della sua vita.“Non esiste, per la bellezza, altra origine che la ferita” il pensiero di Genet citato da Testori all’inizio dell’articolo: Giacometti,il genio,la solitudine. |
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Domenica,
24 Settembre 2006
Matematica affettiva
Vediamo…Se
la mamma ti dà tre baci, il papà quattro e la nonna due,
quanti baci in tutto? Donna: Bravo. E se hai dieci caramelle e la mamma te ne frega tre, quante caramelle ti rimangono? Bambino: Mmmmmmmmm……(va nello stesso angolo a pensare). Sei o sette! Donna: Bravissimo. Vieni qua che ti bacio. |
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Lunedì, 25 Settembre
2006
22 agosto 2006
No,
non sono il “Monaco sulla spiaggia” di Friedrich, non voglio
esserlo oggi,
non tollero oggi il peso di tutto
quel cielo plumbeo sopra il capo. Qui vedo corrermi incontro tutto quel
che sono stata e sarò: una bimba corre indossando
un bikini verde smeraldo come il mio quando avevo la sua età, una giovane
donna gravida legge mentre la Natura la trasforma.Vecchi, bimbi , gabbiani,
conchiglie, alghe rugginose, onda che torna al mare, cosa sono stata,
cosa sono, cosa sarò? Questa spiaggia in questo istante contiene tutto il mio universo, come il baco
il filo di seta. |
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Martedì,
26 Settembre 2006 L’uomo che mi dorme accanto
Dico così perché è così che passiamo la maggior parte del tempo insieme, dormendo. Se si tolgono le vacanze e i fine settimana, ci vediamo mattina e sera, di corsa la mattina stanchi la sera, come immagino capiti a tanti, ma è poco, poco. L’altro giorno
gli ho detto: Se un giorno di questi
io volessi parlare di te nel mio blog, con che nome vorresti essere
chiamato, che nome fittizio ti dai? Con chi
dorme Laurette? E’ venuto verso il tavolo con la stessa
precisa espressione che ha un ragazzino quando gli chiedi una cosa che
sa da tanto, e anzi non vede l’ora di raccontartela. Ha preso un pezzetto
di carta e con la sua grafia piccola piccola, minuta minuta
, ordinata da incantarsi , ha scritto Normaton. “Cos’è?”
“L’acido che usavo per le mie foto quando ho iniziato”.
Dunque Normaton. Normaton è un
uomo quadrato, un monolite, l’opposto di quel che sono io, tonda o triangolare
chissà’ , eterea di sicuro, cirro sospeso lassù,
“rovinare di mattoni rossi” per rubare le parole di un mio amico poeta.
Tiene tutto in ordine e io gliene sono grata, divide tutto in cartelline
e sottocartelline ed è così rassicurante guardare quella parte dello
scaffale di ikea che dedichiamo alle cose pratiche e delle quali si
occupa lui; là se cerchi una cosa, si trova, altrove, dove ordino io
, non si sa per certo, forse sì forse no . L’altro giorno si è persino
offerto di farmi un foglio in excel con i miei marcatori “Così controlliamo meglio la situazione”. La cosa stupefacente
è quando un uomo quadrato, apparentemente prevedibile, ti sorprende
e ti spiazza. Normaton mi sorprende spesso con le sue fotografie, bellissime,
evocative, semplicissime o visionarie, ma di questo parlerò con calma
un giorno. La storia che
provo a raccontare è un’altra. Un giorno di agosto avevo un appuntamento dal medico e dovevamo raggiungere
la cittadina di D. dalla località di villeggiatura nella quale ci trovavamo.
Normaton, mi chiese :”Andiamo con i mezzi pubblici?”.”Sei sicuro?Sai vero
cosa vuol dire andare da A a E con i mezzi pubblici?”risposi. “Si, lo so”. “Andiamo”. Siamo partiti
da A e in macchina abbiamo raggiunto B, da
B abbiamo preso la motonave e siamo sbarcati a C, abbiamo attraversato
C a piedi e dalla stazione siamo andati in treno a D dove abbiamo preso
l’autobus e siamo arrivati a E. Quella che avrebbe
potuto essere una giornata bigia nella sua essenza perché dedicata ad
un consulto medico, è diventata una vacanza dentro una vacanza.
Io non scorderò mai il nostro camminare accanto attraversando la città
che qui ho chiamato C. Sbarcandovi si vedeva, impressionante benché
consueta, una miriade di turisti colorati e accaldati che si sbocconcellavano
la città ognuno a modo suo. Mi intimoriva l’idea di entrare in quella folla come mi intimorisce
ogni folla, mi intimoriva l’idea di doverla fendere, di dovermici mischiare.
Per mezz’ora abbiamo camminato in quella folla in silenzio e in armonia,
non ci siamo mai persi, non c’è stato bisogno per nessuno dei due di
aspettare l’altro mai, camminavamo insieme ma distinti, sfiorandoci
di tanto in tanto per poi cambiare direzione di pochi gradi e riallontanarci
separandoci ma sapendo che l’altro era da qualche
parte lì vicino. C’era nell’aria qualcosa che non so
dire |
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Venerdì, 29
Settembre 2006
Direttore d’orchestra in treno
Un giorno di
primavera dello scorso anno viaggiavo in treno diretta
a Roma. Ero furiosa perché mangiando un cornetto al bar della
stazione poco prima mi era saltato un pezzetto di dente. Iniziava così
dunque, una giornata scheggiata, imperfetta .E pensavo soprattutto ai
soldi che il dentista mi avrebbe chiesto
di lì a qualche giorno. Di solito mi
piace osservare con attenzione e discrezione le persone che mi siedono
accanto, se leggono qualcosa cerco di capire
cosa, osservo come muovono le mani, cosa guardano e se guardano fuori
dal finestrino. Guardo i loro volti, osservo che colori e che vestiti
hanno scelto per portare in giro per il mondo il
loro essere, e i loro pensieri. Feci così anche quella mattina, ma dei
due seduti l’uno di fronte a me e l’altro al mio fianco ricordo
pochissimo. Il terzo compagno di viaggio aveva una faccia interessante,
lo vidi subito, fece qualche telefonata essenziale (una
emozionata) e per il resto studiava uno spartito musicale.Io
guardavo soprattutto il paesaggio perché senza il paesaggio e i pensieri
che esso mi ispira sono peggio che zoppa, peggio
che il visconte dimezzato. Dopo qualche
fermata i due scesero e rimase solo il musicista. Il resto del vagone
del treno era ancora abbastanza affollato ma lui, incurante, trasse
dalla sua borsa due matite, mise gli auricolari per ascoltare musica
, play, ed iniziò a dirigere la Tosca lì di fronte a me . Lui
era in un’altra dimensione, non era difficile da comprendere, quasi
sempre ad occhi chiusi, ogni tanto si fermava per delle annotazioni
a margine di uno spartito già ricamato da fitti segni a
matita. A me arrivava l’eco lontana della musica che lui sentiva dagli
auricolari, ma era sufficiente per seguirlo e per immergermi in una
esperienza estetica che non potrò scordare. Subito mi sentii
imbarazzata, mi sembrò di essere in più, fuori luogo, mi feci più piccola
che potevo nel mio sedile accanto al finestrino, guardando la sua immagine
riflessa dai vetri, immagine quasi nitida quando il treno entrava dentro
le gallerie, diafana ed inconsistente quando ne usciva. Il viaggio fu
lungo, lui non si fermò mai, da brevi sguardi che durarono frazioni
di secondo, capii che lui ora mi aveva eletto come suo pubblico, accondiscendeva,
visto che comprendevo non c’era problema di sorta. Smisi di guardarlo
solo nel riflesso dei vetri, mi presi il lusso di osservarlo per davvero
per istanti lunghi che conservo nella memoria,
e poi mi presi il lusso di non guardarlo più e di guardare il mio paesaggio
più il suo riflesso più la sua musica. E così
fino a Roma. Arrivati a Roma , mentre ciascuno
recuperava i suoi bagagli, lo ringraziai e parlammo un po’, di musica
e d’arte, mi disse che avrebbe diretto quella sera e mi invitò ma gli
dissi che per me sarebbe stato impossibile esserci. Lo ringraziai ancora.
Ci salutammo. Durante il viaggio
mi sbalordì una cosa e cioè che nessuno degli
astanti sembrò prestare la benché minima attenzione a tutto ciò.
Forse mi sbaglio, e gli altri sono stati solo più discreti di me, o
forse non l’hanno visto per davvero e si son
persi, almeno i tre quattro là vicino, una occasione di emozionarsi. Ma io cosa posso imparare da questo. Posso imparare che in ogni situazione
ci dev’essere, nascosta da qualche parte, la possibilità di emozionarsi,
di vedere qualcosa di nuovo che nutra la nostra intelligenza, la nostra
sensibilità, il nostro sentire. Chissà quante volte io, e sottolineo io, mi sono persa delle esperienze pari a
questa per distrazione, persa nei soliti pensieri, stanca. Ci pensavo ieri,
primo ricovero in day hospital, tre ore e mezzo, mi son detta in questa
stanza ci dev’essere qualcosa che sta accadendo
capace di stupirmi, di incantarmi, di emozionarmi. Certo, ho libri con
me, e giornali, ma che vita scorre qui, prova a vedere. L’ho vista quasi subito, e mentre provo a scrivere so già che fallirò,
ci vorrebbe Rapida, a descriverla come descrisse magistralmente un vecchietto
al supermercato che cercava il Viakal. Sedeva alla
mia destra, intenta a leggere, ma intenta a leggere come raramente si
vede, durante quelle tre ore buone suonarono più volte
i marchingegni che avvertono il paziente che la flebo è finita, lei
non se ne accorse mai ed io decisi di farle da angelo custode avvertendo
il personale, che arrivava e sostituiva la flebo senza che lei si accorgesse
di nulla. Lei continuava imperterrita la sua lettura, occhiali neri
sul naso alla Woody Allen, un libro dalle pagine ingiallite del quale
ora mi rammarico di non aver potuto sbirciare
l’autore ed il titolo. Mi sono persa a osservarla, vecchina di porcellana che ha sfidato indenne
almeno otto decenni, mentre metteva la giacca per andare. La figura
piccola, esilissima,un po’ ricurva, aveva lenti
movimenti che sembravano di Tai Chi. Vestiva con semplicità e gusto
tutta in grigio e nero. Spiccava il copricapo a righe che solo una persona
libera dentro, e con un intero mondo dentro ,
sa mettere come se nulla fosse. La voce non c’entrava proprio niente
con il suo quaresimale fascino, voce maschile, un po’ rauca, con la
quale salutò tutti garbatamente ed andò. |
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Sabato, 30 Settembre
2006
White on light blue
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