Domenica, 3 Settembre 2006

Strudel e stelle


Mi riesce bene lo strudel di mele, ma proprio bene, da leccarsi la punta delle dita. Mi piace pensare che son brava a fare lo strudel come la moglie di Angiolino fa le frittelle nella bellissima canzone di Paolo Conte. Mi cimento da quando avevo vent’anni , oramai due decenni fa, ma il vero segreto risale a circa nove anni fa. Fu allora che ebbi in dono un vecchio ricettario, il ricettario della Ada Boni,” Il piccolo talismano della felicità” . A pagina 385, una ricetta per la pasta dello strudel indica una proporzione di soli  50 grammi di burro e mezzo cucchiaio di zucchero per 250 grammi di  farina (più un uovo intero e un pizzico di sale). Diversi sono i trucchi suggeriti  dall’autrice perché la pasta risulti vellutata ed elastica, per esempio il burro si deve liquefare in un pentolino con un po’ d’acqua ma lentissimamente nell’angolo del fornello, la pasta va sbattuta con forza e a lungo. Ma c’è una cosa che viene raccomandata ad un certo punto e ancor oggi quando la faccio mi vengono quasi i brividi, mi sembra di entrare in una dimensione diversa, poetica e un po’ folle. Dopo aver ottenuto dall’impasto una piccola pagnotta, Ada Boni dice di scaldare una casseruola piuttosto ampia  e quando questa sarà ben calda di usarla capovolgendola per ricoprire la pagnottina, creando in tal modo un ambiente tiepido ove lasciar riposare la pasta per almeno un quarto d’ora.

Mi è capitato di ripensare a questa cosa durante la vacanza appena conclusa. Sono andata al mare con un sacco di preoccupazioni, ed anzi la preoccupazione era solo una ma aveva il potere di generarne molte altre, come quelle papere giocattolo che si portano dietro una fila lunghissima di paperette. Con una di queste papere seguita da almeno sette otto paperette sono andata in spiaggia una sera tardi col mio compagno, ci siamo stesi sulle sdraio a guardar le stelle. Un lampione alle nostre spalle rompeva le scatole, abbiamo parlato un po’ dell’inquinamento luminoso, un po’ più lontano non mancava neppure l’inquinamento acustico (ci arrivava, pur attutita, della musica noiosamente ripetitiva). Ad un certo punto qualcosa è cambiato, ed io non so trovare paragone migliore, per raccontare il  cambiamento, della casseruola capovolta che tiene al caldo la pagnottina. La grande volta stellata che si dilatava fino ai nostri piedi facendo scudo e respingendo umane luci e umane voci, mi sembrava la grande volta bucherellata degli antichi greci. Sembrava emanare calore, magnetico silenzio. Non so quanto siamo rimasti a guardare in su, parlando appena di tanto in tanto. Abbiamo visto delle stelle cadenti, e ci serviva proprio vederle, tre io e due lui. La pittura può raccontare simili emozioni, un grande artista contemporaneo , Anselm Kiefer, ha dipinto negli anni Novanta su questo tema un lavoro di straordinaria bellezza e forza.”Falling stars”. Pittura di enormi dimensioni, ma non sono queste a far venire il capogiro. La prossima volta che farò lo strudel mi voglio attrezzare per tempo. Prenderò una vecchia casseruola e ci farò tanti buchetti (andrà bene il trapano?),  formerò due pagnottine piuttosto di una sola e le metterò vicinissime; capovolgerò la casseruola bucata e subito dopo accenderò tutte le luci della cucina compresa la luce alogena che uso per disegnare. Non so ancora come farò a far le stelle cadenti, ma qualcosa mi inventerò di sicuro. Metterò “The sea” di Bjornstad, ma piano, perché il mare c’era ,abbracciato alla notte stellata. Completerò l’opera tirando la pasta sfoglia sottilissima come so fare da quando ho comprato il matterello di marmo da Ikea. Non mi dimenticherò il pangrattato passato nel burro fuso da mettere sulla sfoglia. Mele marmellata limone grattugiato cannella mandorle e pinoli sminuzzati e uvetta sultanina. Anche un po’ di marmellata.Si avvolge con cura. 180 gradi per circa un’ora. Si respira il profumo mano a mano che si spande per la casa . Si canta che fa sempre bene. Si spolverizza con lo zucchero a velo. Si chiamano amici e persone care, di sera. Se la stagione lo consente si lasciano le finestre aperte che lei, la sera ,entri Mangiando la fetta di strudel assegnatagli ognuno potrà esprimere un desiderio, e potrà anche dirlo agli altri. Anzi meglio, se lo dice agli altri.

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Lunedì, 4 Settembre 2006

Giochino

Anch’io rilancio questo gioco: si tratta di elencare 5 proprie abitudini strane, poi "nominare" 5 bloggers che dovranno fare altrettanto. Elencandoli e lasciando sui loro blog un commento che reciti "SEI STATO SCELTO" ed un link al post…

A chi non continua questa catena non succede  assolutamente nulla, al massimo gli si buca un calzino prima del previsto, o si addormenta in vasca da bagno, o gli si brucia il pane vecchio che ha messo in forno a scaldare. Niente più. Chi lo diffonde  sparge nell’aria un po’ di allegria, di ironia e di leggerezza.

Allora:

1)Appoggio le cose in bilico, sul bordo del tavolo, non so perché, forse non voglio sentirmi sola, in bilico, intendo (una volta superai me stessa lasciando in bilico su una balaustra  al terzo piano un vaso enorme con acquaragia e decine di pennelli). Quando lo faccio non me ne accorgo, lo vedo solo quando ripasso. Non ho mai fatto danni.

2) Dipingo rigorosamente in ginocchio, ho iniziato più di vent’anni fa quando dipingevo in una soffitta; ora che il posto ci sarebbe , sopra il mio capo, non riesco a tirarmi su, ma un po’ mi va bene, dipingere è il mio pregare.

3) Lo raccontavo a Baskerville, ho un bel po’ di comportamenti compulsivi, tendo a tornare spesso sui miei passi, per essere certa, del gas, dei rubinetti chiusi, della porta, delle finestre, del ferro da stiro staccato, del freno a mano e qui mi fermo sennò mi  viene l’ansia. Ma certa non mi sento poi veramente mai. Comunque da un anno due va meglio.

4) Ho una capacità straordinaria di astrarmi dal mondo reale quando questo mi risulta tedioso o quando un altro mondo mi  fa toc toc alla porta e mi chiama a sé; è il caso di internet , blogs e delle telefonate degli amici. Può anche cascare il mondo, i miei figli si possono sfidare in duelli mortali, il mio compagno fornicare con la vicina che è venuta a restituire lo zucchero ed io non mi accorgo di nulla.

5) Diversamente da Holden riesco a stare completamente immobile. A lungo. Ricordo una volta a Londra , in uno dei tanti corsi che frequentai ,una sorta di maturità di lingua inglese, ci chiesero a gruppi di parlare dell’Otello di Shakespeare; si trattava si spiegare, argomentare, confrontare le proprie opinioni con quelle degli altri, il tutto davanti ad una telecamera per produrre una cassetta che sarebbe stata poi essa stessa prova d’esame. Quando l’insegnante (Paul, un dublinese di un’intelligenza da brivido) riavvolse il nastro perchè potessimo guardarlo e commentarlo insieme,nell’effetto "ridolini" del riavvolgere, rimasi esterrefatta nell’osservare che tutti gli altri si muovevano, gesticolavano, si agitavano, ed io ero l’unica a star ferma, ferma da fare impressione.

 

Martedì, 5 Settembre 2006

Dopo cena (Take care)


Aver cura delle candele fino all’ultimo, anche se sono mozziconi da niente, sbocconcellati dalla combustione , sbeccati da ogni lato, storti, next to nothing. Anche se  lo stoppino si è perso in mezzo alla cera e sembra impossibile recuperarlo. Se riesci ad accenderle ancora, fanno la stessa luce di prima, anzi, a ben guardare, sembra anche un po’ più chiara.

 

Candele

 

Martedì, 5 Settembre 2006

Caro Paolo

E’ il mondo delle cose belle,sì, delle cose che coesistono e stanno l’una accanto all’altra senza conflitto. Bello sarebbe stare accanto agli altri e sommare la nostra luce alla loro, mantenere il nostro colore e avere in regalo una due velature da chi ci è vicino; nel tuo lavoro accade. Esempio magistrale di quell’equilibrio dinamico del quale abbiamo tanto parlato. Sembrano personaggi che vanno dove si sa che si deve andare, senza fretta; il blu sovverte le regole ed è più deciso di tutti nel mettersi in gioco, rosso e verde sono complementari nell’esitazione di un istante, i gialli contengono, incorniciano suonando le trombe della luce. Poi c’è il coraggio della direzione opposta, dell’ortogonalità che per la scelta del colore arancione  diventa leggera, ascensionale (stairway to heaven?). I frammenti di pastelli diventano  alla fine un tratto d’unione, un vento di parole di poesia che fa felici tutti. Idea della luce, del gioco, della leggerezza e del movimento, dell’esattezza.Complimenti.

 

 

Giovedì, 7 Settembre 2006

Fiori per Rapida

Un mio lavoro virtualmente per te

 

 

Tulips

 

Venerdì, 8 Settembre 2006

Camera oscura

Ho fatto bene ad alzarmi ,sapeste cosa ho scoperto documentandomi un po’ per questo post (tanto quando non si dorme non si dorme, passata mezz’ora a rigirarsi nel letto tanto vale alzarsi e scrivere ) .Ho una storiella da raccontare. Piccola,bella, o almeno mi sembra. Passano zanzare grosse come elicotteri mentre scrivo, il caldo le ha fatte tornare, se ho contato bene sono tre. Spero di avere la meglio con loro.

E’ successo  durante la mia ultima vacanza (la prima vacanza lunga della mia vita).Primo pomeriggio, stesa con mio figlio di cinque anni sul letto, la stanza nella semioscurità. Effusioni, la gioia e il privilegio consapevole e goduto fino all’ultimo di non aver nulla da fare e poter star lì un po’ a guardare il soffitto con lui prima di andare al mare. Guardando su la vedo all’improvviso, nitida come solo quella volta ben dentro la mia infanzia: l’immagina capovolta di ciò che sta fuori proiettata sul soffitto, la pavimentazione esterna grigia e rossa a scacchi, il triciclo giallo e verde smeraldo. Effetto Madeleine per me, rivivo in un istante un’emozione passata, ricordo perfettamente quando da piccola un pomeriggio di forzato riposo mi accorsi che sul soffitto vedevo passare le macchine in strada, piccole e precise, solo capovolte. Capisco una volta di più il fascino che per me ha la penombra quando fuori la luce è fortissima ed è caldo. Anche questo c’è dentro l’emozione dell’estate per me, quel ricordo lontano.

Prendo la mano di G., e gli racconto, “L’ho visto un giorno d’estate di tanti anni fa ed avevo la tua età .Guarda che bello, quello che fuori è a destra noi lo vediamo a sinistra, capovolto.Adesso io esco e tu mi vedrai sul soffitto”. Vado e rientro.”Ma non si vede bene bene” “Se guardi  con attenzione si vede benissimo, è come la televisione ma con la magia sopra”.

L’appuntamento con quella visione è continuato quasi ogni giorno, ho reso partecipe anche C. (otto anni), abbiamo sostituito il triciclo con il canotto, il canotto con lo stendino con gli asciugamani colorati stesi, abbiamo aggiunto la palla rossa,sono uscita ancora io e mi hanno vista loro, sono usciti loro e li ho visti io, visione sfocata che li trasformava ai miei occhi in bagnanti dentro un mare di luce .Felicità degli occhi e dell’anima.

Presto racconterò loro l’aspetto scientifico della faccenda, soprattutto a C. che mi beve quando parlo come se fossi una fonte d’acqua, non so neanche se mi merito un figlio così, racconterò anche di Fontanellato, il piccolo paese celebre per una Rocca al cui interno, oltre ad uno straordinario ciclo pittorico del giovane Parmigianino, c’è una camera oscura  dalla quale si può vedere la piazza intera del paese.

Prima di iniziare a scrivere questo post, cercavo su internet conferma di queste cose su Fontanellato, (saranno passati quindici anni da quando vi portai una classe in gita scolastica) scoprendo così che c’è un fotografo molto bravo che ha lavorato tanto sul tema della camera oscura. Lo metto nei miei bookmarks, ve lo segnalo (http://www.abelardomorell.net/), ne pubblico alcune bellissime immagini, con e senza camera oscura. Ho fatto proprio bene ad alzarmi, le zanzare finora non mi hanno punto, le due rimaste intendo.

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Lunedì, 11 Settembre 2006

Il quadro più bello del mondo (luglio 2006)

Ma c’è o non c’è, il quadro più bello del mondo? No, non c’è. E’ ovvio che non c’è.

Borges citava il pensiero di Berkeley, il filosofo irlandese; il sapore della mela – diceva- non è  nella mela, ma nel contatto tra la lingua e la mela. E allora , se chiamiamo mele i libri e i quadri che valgono per tante persone ( su questo ragiono ora), esistono  infiniti libri in un unico libro, infiniti quadri in  un unico quadro, e se non sono infiniti sono tanti  quanti gli incontri tra quel libro, quel quadro e una persona. Nel tempo, nello spazio. Figurarsi se ha senso fare delle classifiche.

Oltre a questo lo stesso quadro viene vissuto in maniera diversa negli anni, ci sono quadri che un tempo mi piacevano e basta e adesso potrei prostrarmi di fronte ad essi. Altri che mi emozionavano alle lacrime ed ora non più (Salvador Dalì, per esempio). Tuttavia mi piacerebbe tentare  il racconto dei quadri più belli del mondo per me , negli anni. E sentire se qualcuno mi racconta il suo quadro più bello. Posso pensare a questo blog anche come ad una sorta di palestra dove verrò ad allenarmi per la fatidica domanda che ti fanno quando meno te l’aspetti “Ma qual è il tuo artista preferito?” “E il tuo quadro preferito?”. L’ultima volta che me l’hanno fatta mi sono sentita a disagio perché non riuscivo a decidermi da chi partire. Se mi alleno qui, metti una volta al giorno ( mi toccherà farlo di notte) la prossima volta che  mi viene rivolta questa domanda io, che ho una memoria visiva , ripercorro mentalmente i miei post, senza esitazione, tentennamenti, discernendo, raccontando…

Parto in un punto a caso della mia vita . Per due anni, almeno”La grande riserva” di Friedrich è stato per me il quadro più bello del mondo. Bello da farmi pensare e progettare un viaggio a Dresda per andarlo a vedere, bello da vederlo anche ad occhi chiusi.

Aveva come il potere di consolarmi, ce l’ha ancora, dev’essere la visione dall’alto che sempre, per me, ha un effetto lenitivo; sollevandosi dalla pesantezza delle cose terrene e guadagnando lo spazio aereo, la percezione delle cose muta (lo diceva anche Terzani in uno dei suoi libri, l’ha detto Calvino). Ci sono cose che anche se viste o immaginate dall’alto sono orribili, quel che capita in questi giorni in Medio Oriente è orribile ed inaccettabile da qual si voglia punto di vista. Allora parlo del destino individuale, quel che accade a me: se lo guardo a volte dall’alto è meno peggio. Faccio questo esercizio di ginnastica da tanto tempo. Già da cento metri sospesa in alto i miei marcatori sballati sono poca cosa, invece con i piedi per terra fanno tremare le gambe.

Ma torno a me di allora, quindici anni fa circa. La parte inferiore del dipinto mi sembrava il mondo visto dall’alto, era per me un’emozione visiva altissima . Non avevo ancora mai preso l’aereo, allora, non ero salita ancora sulla mongolfiera a Vauxhall, né sul London Eye né sulla Torre Eiffel.. Non avevo raggiunto la cima di nessuna montagna , non c’era ancora Google Earth, con i  suoi incantesimi da brivido. La pittura mi insegnò allora un’attitudine della mente, moltiplicando all’ennesima potenza l’emozione che allora avevo provato solo guardando la pianura dall’alto delle mie colline.

Ancor oggi, mi incanto a guardare “La grande riserva” . Non sai se è un quadro triste o allegro (allegro proprio no, ma è triste?). Non si capisce se è un’alba che si apre o le ultime luci di un tramonto. Di sicuro le luci del cielo entrano dentro il corpo della terra, più lucenti di quanto non fossero in cielo come se questo fosse qualcosa che davvero è nelle nostre possibilità, e cioè che nella melma  e nella fatica del quotidiano, la luce possa entrare, forte , intensa. A tratti. E’ possibile, il dipinto me lo promette. Il cielo è terso e chiaro in alto, cielo dell’anima più che cielo reale, e non si stenta a credere  alle parole che ci sono rimaste della moglie di Friedrich, quando dipinge il cielo-diceva- è intrattabile.

Amo Friedrich, solo quest’anno l’ho sacrificato nel programma a scuola per far posto ad altri artisti e me ne sono poi pentita.”Un pittore deve dipingere quel che vede dentro di sé.  Se dentro di sé non vede nulla, lasci pur perdere di dipingere quel che vede fuori di sé”. Vale ancora, questa sua raccomandazione.

La_grande_riserva
 
Martedì, 12 Settembre 2006

L’ombra delle cose


E’ da qualche tempo che ragiono tra me e me sull’ombra delle cose . Non sono ancora arrivata da nessuna parte, né arriverò mi sa , ma comunque voglio iniziare a scriverne.

Parlo in questo caso dell’ombra portata, e cioè dell’ombra che l’oggetto proietta quando viene colpito dalla luce.

Ci sono dei lavori dove l’ombra esalta il reale, ne canta la bellezza, si dimentica del colore per celebrarne la forma. Penso per esempio a certi bellissimi lavori di Francesco Stefanini. La realtà resta sconosciuta ma siamo rassicurati , certi della sua presenza univoca pur fuori dal nostro campo visivo. Ammaliati, paghi.

Ci sono lavori che mi sembrano giocare con un’idea opposta, e cioè lo slegarsi dell’ombra dalla realtà della quale essa è proiezione.L’ombra si anima di una vita propria.E’ il caso di un bellissimo lavoro di Cornelia Parker ,"Cold Dark Matter: An Exploded View ". L’opera è al centro della stanza, complessa ma affascinante, ma ad incutere timore sono le ombre proiettate tutt’intorno, su muri, pavimento e soffitto.

Io amo la pittura-pittura, ma ci sono ricerche artistiche  apparentemente lontane da essa che alla fine mi restano dentro e mi suggeriscono pensieri e riflessioni. Questo è il caso.

La realtà resta sconosciuta, complessa, non ci basterà una vita per dare a noi stessi risposte certe. Possiamo grattarne con le unghie la superficie , il rischio di spezzarcele è altissimo, ma tante volte sta a noi, alla direzione e all’inclinazione che lasciamo che i nostri pensieri prendano. Una realtà amarissima può trasformarsi attraverso una rielaborazione personale in una realtà accettabile, persino in poesia, o al contrario possiamo avere tra le mani una realtà di armonia che per la debolezza del nostro pensiero si trasforma in fantasma.Sono solo riflessioni, anyway…

Autunno

Corneliaparker

 
Martedì, 12 Settembre 2006

Dodecaedro stellato

 

Pubblico, sperando che un giorno di questi Dodecaedro stellato apra un blog, che ne ha di cose da raccontare.

Cara Laurette,

raccolgo la tua amabile provocazione, ed eccomi qui ad offrirti i miei pensieri sulle tue riflessioni.

Dunque, dire quello che ritengo sia il quadro piu’ bello del mondo e’ una domanda che non credo mi sia mai stata fatta, per fortuna. Perche’ indica una mentalita’ da hit parade che mi ripugna quando e’ associata all’arte.

Invece mi e’ stato chiesto molte volte di indicare i miei artisti preferiti.

In questi casi, spesso quando mi fanno la domanda mi si prosciuga istantaneamente il cervello. Ma il cuore sa bene come le "preferenze" - ma si dovrebbe dire gli amori - vengono, a volte vanno, a volte rimangono. E soprattutto, crescono e si accumulano.

A questo proposito, ti racconto un breve scambio di battute avvenuto a Londra circa 17 anni fa. Ero incinta per la seconda volta; a un’ amica confidavo che non capivo come sarebbe stato possibile allagare il cuore di un altro amore, visto che mi sembrava di amare gia’ mio marito e la prima figlia al massimo delle potenzialita’ umane. "Il cuore si espande", mi rispose lei, ferrata in materia.

E cosi’ e’ stato, e poi ancora per il terzo figlio, e allo stesso modo per i tanti artisti che hanno accompagnato la mia vicenda umana. Tutti insieme questi amori, come tu sai benissimo, riempiono il cuore, e la mente, e gli occhi. E le mani, quando siamo noi in studio davanti al cavalletto. Insomma, fanno di noi cio’ che siamo.

Si cresce, si cambia, in continua evoluzione come stelle o soli che ardono.

A 16 anni trovarmi inaspettatamente davanti a un Modigliani mi tolse il respiro. Adesso i miei amori sono altrove, ma l’aver amato Modi’ mi ha reso quella che sono oggi. Voglio dire che i passati amori formano l’ossatura, le mura maestre di cio’ che siamo in questo momento. Educano. E come tali non cambiano veramente e non scompaiono mai. Rimangono nel nostro DNA. Anche se adesso sono altri gli artisti che ci commuovono, non sarebbe potuto accadere se non avessimo amato tutti quelli che sono venuti prima.

In questi giorni come sai sono accecata da Lorenzo Monaco. Lorenzo monaco e’ un grande amore per me. Da anni vado infilando citazioni dei suoi lavori dappertutto. Le sue immagini, da quelle grandi a quelle minute, e spesso soprattutto i piccoli dettagli che stanno ai margini delle tavole, una volta viste rimangono nel cuore incise a fuoco, profumando d’amore, di luce, di beltade.

Lo dico male, e vedo bene che le parole non mi soccorrono.

Ma sai cosa? E’ meglio cosi’.

Lorenzo monaco e’ l’ineffabile, lo squisito. La soglia oltre la quale il cuore canta e la lingua ammutolisce, e si puo’ solo guardare, con riverenza e amore infiniti.

Madonne, bambini, angeli e santi, il solito catalogo. Ma i colori!!! Ma la dolcezza infinita, struggente!!!!

I colori, i colori soprattutto. E apposta per questo lo voglio dire a te, che i colori hai nel cuore.

Ci sono colori, in queste tavole, che sono dei miracoli. Non so e non m’importa affatto di sapere da quale pianta o minerale mai certi viola, certi rosa e certi gialli siano originati. Una volta dipinti sono diventati qualcosa che annuncia il paradiso, un’altra vita, altre luci.

Ci sono viola rosati che trascorrono in altri colori per i quali non esiste nome.

Gialli - ma com’e’ riduttivo chiamarli, semplicemente, "gialli" - che cantano laudi angeliche.

Non sono colori, ecco: sono musica. Musica sacra.

E per chi, come me, e’ allergico alle strutture della chiesa e del clero, non resta che piegare il capo e lasciarsi prendere per incantamento.

Ci sono per esempio profeti seduti, tavolette di 50 x 40, che mi fanno piangere. Se da una parte, voglio dire, mi inorridiscono questi vecchi barbuti e patriarcali, dall’altra i panneggi che rivestono la solidita’ dei loro corpi, e soprattutti i colori di queste vesti, tolgono il respiro.

"Si puo’ arrivare fin qui", si dice in Toscana. Poi non c’e’ un non plus ultra, questo e’ il massimo.

Forse questi sono premonizioni d’ estasi. Forse sono estasi..Nel nome dei straordinari e ineffabili colori ti abbraccio, dodecaedro stellato.

 

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Mercoledì, 13 Settembre 2006

Silenzio

 

 

 

Ieri sera cercavo un’immagine che mi serviva a chiarirmi un pensiero. Era come una necessità interiore di affilare un bulino, temperare alla perfezione una matita, ma su google immagini non sono riuscita a trovare ciò che cercavo, e il mio lapis è lì sul bordo del tavolo, con la punta spezzata. Va bene anche così. Evidentemente serviva che io cercassi quell’autore, quella foto, perché solo così oggi ho potuto ripensare per collegamento spazio-temporale ad un disegno meraviglioso (aiutatemi a dire meraviglioso) che vidi due anni fa al Mart nella mostra “Il bello e le bestie”. Rimasi trafitta – allora- dalle grandi carte di questa giovane artista, disegni luminosissimi, dolcissimi e inquietanti , moderni ed antichi; il corpo che non è mai solo corpo, il corpo che è spirito; un volto , sempre lo stesso, che torna ossessivamente ma non sai se arriva dall’Oriente o da quel punto radioso del Rinascimento che fu l’esperienza sublime di Piero della Francesca. Oggi ho ripensato a questa giovane donna artista e mi sono chiesta “Chissà che fa, ora…” Google search e scopro che ha un sito bellissimo (http://www.juulkraijer.com), una miriade di lavori uno più bello dell’altro. Quando si dice che il vero artista  è quello che ti spalanca un nuovo modo di guardare le cose…Ho la sensazione di aver passato il pomeriggio con lei, che abbia aggiunto sfumature alla mia capacità di percepire e godere del silenzio. Silenzio dentro, silenzio anche se intorno il vociare dei bambini è lo stesso e verso sera è faticoso, silenzio anche se il telefono squilla sempre all’ora di cena e mi si propongono invariabilmente nuove tariffe telefoniche sempre più vantaggiose. Silenzio. Lancio con gioia in questo istante un aereo di carta per voi. Andate a vedere, perché io non ho parole(http://www.juulkraijer.com

).

 

 

 

Juulkraijer_1

Juulkraijer_2

Juulkraijer2

 
 
Giovedì, 14 Settembre 2006

Sgamata

(Interno notte)Bambino: Ma, e se tu muori prima di me?Donna: E’ molto probabile, tu hai cinque anni e io quaranta…Ma vedrai, capiterà tardissimo, e poi ci   rincontreremo, ti ho raccontato.(zanzara che passa. lei si alza e va ad accendere il vape dall’altra parte della stanza. Tornando rimbocca le coperte al bambino più grande) Donna: Sei preoccupato per me?Bambino: SìDonna: Perché?Bambino: Stai un po’ bene e un po’ male. Fai sempre le analisi.(pallina che rotola sul pavimento al piano di sopra)Donna: Ma io sto bene, lo vedi, e poi fare le analisi serve a prendere la medicina giusta..(centrifuga di lavatrice)Bambino: Arimidex, l’hai preso stasera, vero? (centrifuga che finisce)Donna: Sì,  tranquillo.Bambino: Prendilo sempre così non muori.( Tre macchine passano in rapida successione in strada. Asfalto bagnato)

 

 

Martedì, 19 Settembre 2006

Tre (Rothko per me )

 

Tre porte, tre libri che aspettano di essere letti, tre libri che aspettano di essere scritti, tre pagine tre,
tre tende, tre lenzuola, tre bloggers, tre campi dall’alto, tre lame di luce slabbrata tre,
tre fosfeni, tre non so cosa, tre non so come, tre non so quando tre,
tre colori per coprire il buio, tre colori per dire l’amore, tre colori che fanno l’amore tre,
tre parole grosse, tre parole vere, tre non so perché, tre non so se, tre non so chi tre,
tre profumi (fragola ciliegia e vaniglia) e tre profumi tre (profumo di voglia di baciare, di voglia di scappare, di voglia di tornare),
tre cose belle, tre gomme profumate tre,
tre case , tre palazzi, tre finestre tre ,
tre tovaglie ad asciugare, tre canti, tre voci, tre luci
tre…..

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Giovedì, 21 Settembre 2006

Le ali

Persegui lo scopo, non curarti del mezzo:
Il nostro unico nido sono le nostre ali. (Rapida)

Giovedì, 21 Settembre 2006
 

Latte alla finestra

 

Renè Magritte, L’impero delle luci, 1954

 

 

Provengo da una famiglia di origine contadina . Avevamo delle mucche, tre o quattro non ricordo, che mia madre mungeva mattina e sera. Parte del latte era raccolta dal lattaio che passava col camioncino, parte la vendevamo a  gente del vicinato. Ricordo con nitidezza la signora Livia che per anni prese il latte da noi. Arrivava all’imbrunire, entrava dal cancelletto, attraversava il breve giardino dalla parte della strada, apriva gli scuri , prendeva la bottiglia piena e la sostituiva con quella vuota, accostava gli scuri e se ne tornava via. E’ durata per diversi anni, tutti gli anni Settanta di sicuro .Qualche anno fa la signora Livia confidò a mia madre “Quanto vi invidiavo a vedervi la sera, tutti insieme, addormentati, stanchi e felici”. Questo capitava, aveva ragione. Da quando mi è stata riferito questo suo ricordo rivedo la scena dal suo punto di vista .Come se potessi affacciarmi alla finestra illuminata del dipinto di Magritte (che importa se nel dipinto di Magritte la finestra illuminata è al primo piano), grande fiammiferaia in un mondo alla rovescia, che vede una famiglia povera e felice. Proprio così, povera e felice. Si addormentava mio padre subito dopo cena reclinando il capo sul tavolo, stanco morto , a seguire si addormentava mia madre e poi tutti noi fratelli (cinque). Capaci di starcene lì anche due ore finchè mia madre si svegliava ed iniziava a mandare a letto prima noi piccoli, via via i più grandi e poi mio padre. Sembrerà inverosimile ma andava proprio così, se non sempre molto spesso, qualcuno di noi conserva ancora ora un rapporto strano col sonno, io di sicuro, capace tuttora di addormentarmi in una compagnia d’amici o persone care mostrando senza problemi quel segno d’amore che è l’abbandono. L’immagine che conservo per me è ora questo: la finestra del dipinto di Magritte e oltre una famiglia che intorno ad un tavolo divide il pane, il sonno, e fors’anche i sogni.

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Sabato, 23 Settembre 2006

Pioggia sottile

Era il finire del 1991 e c’era una grande retrospettiva al Museo d’Arte Moderna de la Ville de Paris.Erano passati poco più di quaranta giorni dalla morte di mio padre, che a Giacometti assomigliava. L’emozione di partire all’improvviso, di rapire  mia madre e osservarla come se fosse lei la figlia, una bambina trepidante, per la prima volta alle prese con un viaggio all’estero. Viaggiare di notte, in treno. Trovare la città addormentata. Il fascino del tassì. La Senna d’inverno. Una telefonata clandestina fatta in modo rocambolesco (non c’erano i telefonini, allora) e a qualcuno che amavo dissi della gioia che mi dava la pioggia di Parigi; un modo anche quello , penso adesso, di pensare a mio padre se una delle emozioni più forti e profonde che conservo  dell’infanzia è il brivido che mi dava la pioggia sottilissima che mi cadeva sul viso quando correvo la sera a comprargli le sigarette Sax  al negozio vicino casa. Che opere straordinarie vidi , sculture tormentate, antiche e nuove. Mi lasciarono senza fiato i disegni, con quelle cancellature che sono un ossimoro, cancellatura che piuttosto di togliere aggiunge. Aggiunge mistero, vita , dubbi. Luce che è soffio vagante e discontinuo. I ritratti della madre, belli come quelli di  Rembrandt.

E poi la grande emozione che fu ritrovare la mia di madre. La cercavo da almeno dieci minuti in mostra, persa in chissà quale sala, e la ritrovai seduta che si guardava il video su Giacometti, con le lacrime agli occhi , certo pensando più che altro alla somiglianza con mio padre. In quel momento, proprio in quel momento, il video mostrò un Giacometti oramai avanti negli anni, un sorriso si aprì sul suo volto e noi ci accorgemmo che gli mancavano gli stessi denti che mancavano a mio padre negli ultimi anni della sua vita.“Non esiste, per la bellezza, altra origine che la ferita” il pensiero di Genet citato da Testori all’inizio dell’articolo: Giacometti,il genio,la solitudine.

Giacometti
Domenica, 24 Settembre 2006

Matematica affettiva



Bambino (5 anni): Mamma, mi fai dei problemi?
Donna: Ok, vieni qui…

Vediamo…Se la mamma ti dà tre baci, il papà quattro e la nonna due, quanti baci in tutto?
Bambino: Mmmm….(va in un angolo a pensare) Nove!

Donna: Bravo. E se hai dieci caramelle e la mamma te ne frega tre, quante caramelle ti rimangono?

Bambino: Mmmmmmmmm……(va nello stesso angolo a pensare). Sei o sette!

Donna: Bravissimo. Vieni qua che ti bacio.

 

 

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Lunedì, 25 Settembre 2006

22 agosto 2006

 

No, non sono il “Monaco sulla spiaggia” di Friedrich, non voglio esserlo oggi, non tollero oggi il peso di tutto quel cielo plumbeo sopra il capo. Qui vedo corrermi incontro tutto quel che sono stata e sarò: una bimba corre indossando un bikini verde smeraldo come il mio quando avevo la sua età, una giovane donna gravida legge mentre la Natura la trasforma.Vecchi, bimbi , gabbiani, conchiglie, alghe rugginose, onda che torna al mare, cosa sono stata, cosa sono, cosa sarò? Questa spiaggia in questo istante contiene tutto il mio universo, come il baco il filo di seta.


Lino Mannocci,, Viareggio n.2

 

Martedì, 26 Settembre 2006

L’uomo che mi dorme accanto


Dico così perché è così che passiamo la maggior parte del tempo insieme, dormendo. Se si tolgono le vacanze e i fine settimana, ci vediamo mattina e sera, di corsa la mattina stanchi la sera, come immagino capiti a tanti, ma è poco, poco.

L’altro giorno gli ho detto: Se un giorno di questi io volessi parlare di te nel mio blog, con che nome vorresti essere chiamato, che nome fittizio ti dai? Con chi dorme Laurette? E’ venuto verso il tavolo con la stessa precisa espressione che ha un ragazzino quando gli chiedi una cosa che sa da tanto, e anzi non vede l’ora di raccontartela. Ha preso un pezzetto di carta e con la sua grafia piccola piccola, minuta minuta , ordinata da incantarsi , ha scritto Normaton. “Cos’è?” “L’acido che usavo per le mie foto quando ho iniziato”. Dunque Normaton.

Normaton è un uomo quadrato, un monolite, l’opposto di quel che sono io, tonda o triangolare chissà’ , eterea di sicuro, cirro sospeso lassù, “rovinare di mattoni rossi” per rubare le parole di un mio amico poeta. Tiene tutto in ordine e io gliene sono grata, divide tutto in cartelline e sottocartelline ed è così rassicurante guardare quella parte dello scaffale di ikea che dedichiamo alle cose pratiche e delle quali si occupa lui; là se cerchi una cosa, si trova, altrove, dove ordino io , non si sa per certo, forse sì forse no . L’altro giorno si è persino offerto di farmi un foglio in excel  con i miei marcatori “Così controlliamo meglio la situazione”.

La cosa stupefacente è quando un uomo quadrato, apparentemente prevedibile, ti sorprende e ti spiazza. Normaton mi sorprende spesso con le sue fotografie, bellissime, evocative, semplicissime o visionarie, ma di questo parlerò con calma un giorno.

La storia che provo a raccontare è un’altra.

Un giorno di agosto avevo un appuntamento dal medico e dovevamo raggiungere la cittadina di D. dalla località di villeggiatura nella quale ci trovavamo. Normaton, mi chiese :Andiamo con i mezzi pubblici?”.”Sei sicuro?Sai vero cosa vuol dire andare da A a E con i mezzi pubblici?”risposi. “Si, lo so”. “Andiamo”.

Siamo partiti da A e in macchina abbiamo raggiunto B, da B abbiamo preso la motonave e siamo sbarcati a C, abbiamo attraversato C a piedi e dalla stazione siamo andati in treno a D dove abbiamo preso l’autobus e siamo arrivati a E. Quella che avrebbe potuto essere una giornata bigia nella sua essenza perché dedicata ad un consulto medico, è diventata una vacanza dentro una vacanza. Io non scorderò mai il nostro camminare accanto attraversando la città  che qui ho chiamato C. Sbarcandovi si vedeva, impressionante benché consueta, una miriade di turisti colorati e accaldati  che si sbocconcellavano la città ognuno a modo suo. Mi intimoriva l’idea di entrare in quella folla come mi intimorisce ogni folla, mi intimoriva l’idea di doverla fendere, di dovermici mischiare. Per mezz’ora abbiamo camminato in quella folla in silenzio e in armonia, non ci siamo mai persi, non c’è stato bisogno per nessuno dei due di aspettare l’altro mai, camminavamo insieme ma distinti, sfiorandoci di tanto in tanto per poi cambiare direzione di pochi gradi e riallontanarci separandoci ma sapendo che l’altro era da qualche parte lì vicino. C’era nell’aria qualcosa che non so dire se non così, dicendo che non lo so dire. Io non ho mai provato una cosa simile in vita mia. Esperienza di armonia e immagine concreta di amore coniugale. In non so quale libro di Garcia Marquez si racconta di due coniugi che non hanno bisogno di parlare tanto si conoscono. Più o meno così. Noi in quella mezz’ora eravamo due nastri lanciati come li lancerebbe un ragazzino abilissimo a far rimbalzare i sassi sulla superficie dell’acqua, siamo entrati nella trama turisticamente  caotica ed esteticamente inenarrabile della città trovando, inaspettata e preziosissima, in un giorno di fatica esistenziale, la conferma chiara del senso che ha vivere insieme.

Normaton2

Venerdì, 29 Settembre 2006

Direttore d’orchestra in treno

Un giorno di primavera dello scorso anno viaggiavo in treno diretta a Roma. Ero furiosa perché  mangiando un cornetto al bar della stazione poco prima mi era saltato un pezzetto di dente. Iniziava così dunque, una giornata scheggiata, imperfetta .E pensavo soprattutto ai soldi che il dentista  mi avrebbe chiesto di lì a qualche giorno.

Di solito mi piace osservare con attenzione e discrezione le persone che mi siedono accanto, se leggono qualcosa cerco di capire cosa, osservo come muovono le mani, cosa guardano e se guardano fuori dal finestrino. Guardo i loro volti, osservo che colori e che vestiti hanno scelto per portare in giro per il mondo il loro essere, e i loro pensieri. Feci così anche quella mattina, ma dei due seduti l’uno di fronte a me e l’altro al mio fianco ricordo pochissimo. Il terzo compagno di viaggio aveva una faccia interessante, lo vidi subito, fece qualche telefonata essenziale (una emozionata) e per il resto studiava uno spartito musicale.Io guardavo soprattutto il paesaggio perché senza il paesaggio e i pensieri che esso mi ispira sono peggio che zoppa, peggio che il visconte dimezzato.

Dopo qualche fermata i due scesero e rimase solo il musicista. Il resto del vagone del treno era ancora  abbastanza affollato ma lui, incurante, trasse dalla sua borsa due matite, mise gli auricolari per ascoltare musica , play, ed iniziò a dirigere la Tosca lì di fronte a me . Lui era in un’altra dimensione, non era difficile da comprendere, quasi sempre ad occhi chiusi, ogni tanto si fermava per delle annotazioni   a margine di uno spartito già  ricamato da fitti segni a matita. A me arrivava l’eco lontana della musica che lui sentiva dagli auricolari, ma era sufficiente per seguirlo e per immergermi in una esperienza estetica che non potrò scordare. Subito mi sentii imbarazzata, mi sembrò di essere in più, fuori luogo, mi feci più piccola che potevo nel mio sedile accanto al finestrino, guardando la sua immagine riflessa dai vetri, immagine quasi nitida quando il treno entrava dentro le gallerie, diafana ed inconsistente quando ne usciva. Il viaggio fu lungo, lui non si fermò mai, da brevi sguardi che durarono frazioni di secondo, capii che lui ora mi aveva eletto come suo pubblico, accondiscendeva, visto che comprendevo non c’era problema di sorta. Smisi di guardarlo solo nel riflesso dei vetri, mi presi il lusso di osservarlo per davvero per istanti lunghi che conservo nella memoria, e poi mi presi il lusso di non guardarlo più e di guardare il mio paesaggio più il suo riflesso più la sua musica. E così fino a Roma. Arrivati a Roma , mentre ciascuno recuperava i suoi bagagli, lo ringraziai e parlammo un po’, di musica e d’arte, mi disse che avrebbe diretto quella sera e mi invitò ma gli dissi che per me sarebbe stato impossibile esserci. Lo ringraziai ancora. Ci salutammo.

Durante il viaggio mi sbalordì una cosa e cioè che nessuno degli astanti sembrò  prestare la benché minima attenzione a tutto ciò. Forse mi sbaglio, e gli altri sono stati solo più discreti di me, o forse non l’hanno visto per davvero e si son persi, almeno i tre quattro là vicino, una occasione di emozionarsi.

Ma io cosa posso imparare da questo. Posso imparare che in ogni situazione ci dev’essere, nascosta da qualche parte, la possibilità di emozionarsi, di vedere qualcosa di nuovo che nutra la nostra intelligenza, la nostra sensibilità, il nostro sentire. Chissà quante volte io, e sottolineo io, mi sono persa  delle esperienze pari a questa per distrazione, persa nei soliti pensieri, stanca.

Ci pensavo ieri, primo ricovero in day hospital, tre ore e mezzo, mi son detta in questa stanza ci dev’essere qualcosa che sta accadendo capace di stupirmi, di incantarmi, di emozionarmi. Certo, ho libri con me, e giornali, ma che vita scorre qui, prova a vedere.

L’ho vista quasi subito, e mentre provo a scrivere so già che fallirò, ci vorrebbe Rapida, a descriverla come descrisse magistralmente un vecchietto al supermercato che cercava il Viakal.

Sedeva alla mia destra, intenta a leggere, ma intenta a leggere come raramente si vede, durante quelle tre ore buone  suonarono più volte i marchingegni che avvertono il paziente che la flebo è finita, lei non se ne accorse mai ed io decisi di farle da angelo custode avvertendo il personale, che arrivava e sostituiva la flebo senza che lei si accorgesse di nulla. Lei continuava imperterrita la sua lettura, occhiali neri sul naso alla Woody Allen, un libro dalle pagine ingiallite del quale ora mi rammarico di non aver potuto sbirciare l’autore ed il titolo. Mi sono persa a osservarla, vecchina di porcellana che ha sfidato indenne almeno otto decenni, mentre metteva la giacca per andare. La figura piccola, esilissima,un po’ ricurva, aveva lenti movimenti che sembravano di Tai Chi. Vestiva con semplicità e gusto tutta in grigio e nero. Spiccava il copricapo a righe che solo una persona libera dentro, e con un intero mondo dentro , sa mettere come se nulla fosse. La voce non c’entrava proprio niente con il suo quaresimale fascino, voce maschile, un po’ rauca, con la quale salutò tutti garbatamente ed andò.

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Edward Hopper, Compartment C, Car 193
1938, oil on canvas

Zoranmusiccollinesenesi

 
Sabato, 30 Settembre 2006

White on light blue


 

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

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Velasco Vitali
"SAIL ON BLUE SEA AND SKY"
39"X20"
oil on canvas