Giovedì,
3 Agosto 2006
Piacere, Laurette
Può darsi che un giorno neanche tanto lontano il nero mi inghiotta.
Ma io resisto più che posso, protetta dal verde della mia vestaglia
che splende. È il verde profondo dei boschi, ma anche degli occhi
di mio figlio, e il verde erba verso cui virano le bianche lenzuola
al solo vederti. La poltrona sulla quale siedo è rosa come i
singoli irrinunciabili colori delle labbra di tutti i miei cari, uno
ad uno li so riconoscere, sotto un’apparente uniformità,
le labbra di mio padre, di mia madre, di G., dei miei figli e via di
seguito attraverso tutti gli amici e gli amori. Fino a te, caro. Sto
ferma,mi investe netta la luce di settembre, mi scalda il volto come
accade alla bambina portoghese nella canzone di Guccini.
Dio che gioia, da sempre, il caldo alla pelle. Così, immota,
argino il blu che è dentro di me, dietro i miei occhi socchiusi,
perché non tracimi neanche una goccia del mare che dentro di
me a poco a poco si va a placare. Poi domani te lo racconto, quel blu.
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![](laurette_with_a_green_dress_black_backgr.jpg)
Matisse Laurette
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Venerdì,
4 Agosto 2006
Notturno
Dormo poco, da qualche tempo. Anzi, mi spiego, la sera mi addormento
in modo poco dignitoso sul divano (più che un addormentarsi mi
sembra uno spegnersi, uno schiantarsi, uno spegnersi schiantandosi)
, dopo un’oretta due mi si sveglia e mi si dirige verso la stanza
da letto e poi , verso le due tre di notte , mi risveglio (da sola,
questa volta). E’ allora che la vedo, la pittura più difficile,
la pittura dell’oscurità. Ogni notte la stessa. Non so
se aspetta che provi a parlarne o che provi a dipingerla.La stanza è
buia, non per mia scelta ma per necessità amorosa, il mio compagno
ama dormire nell’oscurità, se accendi anche solo una lucina
quando dorme si ripara gli occhi come faceva Nosferatu nell’omonimo
film. E dunque è buia- dicevo- di un nero soffice e vaporoso
che contiene anche degli indescrivibili grigi colorati. E’ una
sensazione avvolgente, quasi tattile, mi verrebbe da allungare la mano
per sentire se è notte o velluto. Lo sguardo corre comunque sempre
alla porta aperta della stanza da letto, alle geometrie chiare che essa
disegna, sono grigi che per contrasto diventano luce, biancore .
Stanotte mi è tornato in mente un dipinto ; assomiglia a quello
che io vedo e percepisco ogni notte dalla mia postazione. Io, sentinella
dei miei stessi pensieri. E’ di un pittore che mi piacque subito
quando ne conobbi l’opera alla Tate di Londra ( era la Tate e
basta, allora, la Tate Modern non esisteva ancora). Il Guardian salutò
con toni entusiastici i lavori di Patrick Heron, questo il nome dell’artista,
dicendo che erano "better than sex" . Non è lì
che conobbi quest’opera, in quella mostra i suoi lavori erano
colore puro e vita, davvero sensualissimi.
Incrociai questo dipinto lo scorso inverno nei miei giretti virtuali
per le gallerie di Londra. Mi colpì enormemente; salvai l’immagine
e la misi in una cartella che in questi minuti ritrovo subito nonostante
il caos del mio desktop. Lo trovo un dipinto straordinario, straordinario
quel bianco, quei grigi blu, quel rosso velato che rosso è e
rosso rimane anche se avviluppato dalle tenebre. Dipingere la notte,
e la luce interiore che essa contiene: lui ci è riuscito.
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Venerdì, 4 Agosto 2006
Parto per le vacanze tra poco, l’ora è ancora avvolta nel
mistero. Piuttosto del cartello TORNO PRESTO metto questa figurina.
Me la regalò un’amica artista oramai dieci anni fa. Fotocopia
di un suo lavoro (ecoline al tratto, credo), è grande quanto
il palmo di una mano. La appiccicai al bordo destro dello specchio in
bagno, pensando che sarebbe stato bello vederla ogni mattina tra le
prime cose al risveglio. Mi seguì all’estero qualche anno
dopo, dove la posizionai più o meno allo stesso modo. Ora che
sono tornata con un’altra pallina di blu tack l’ho attaccata
più o meno nella stessa posizione, forse un po’ più
in su. Non vedo l’ora di cambiarla di posto ancora. Fra un anno
più o meno dovrei andare a vivere in una casa dove potrò
finalmente mettere in ordine tutte quelle cose (libri e quadri principalmente)
che mi aspettano da tre anni boffonchiando chiusi negli scatoloni o
ammonticchiati precariamente a casa di amici e parenti (“Perché
ti sei portata Goethe e lasci me qui ad ammuffire? Ingrata…”
sembrava dirmi settimana scorsa “I turbamenti del giovane Torless”
quando l’ho ripreso in mano un attimo cercando Calvino). Ma basta
poco , per vivere, questo l’ho imparato, e non serve avere tutti
i propri libri in ordine alfabetico nella libreria di casa. Anche per
essere felici, basta pochissimo. Lampi, naturalmente. Questa figurina
che si è salvata tra i gorghi dell’esistenza che mi è
capitato di attraversare, mi dà in questo istante una particolarissima
felicità. Si intitola “Lovers”, ne amo la dimensione
scherzosa, leggera, poetica. Amo l’amore che prova a raccontare,
anch’essa. Ve la porgo , leggerissima e profumata come un saluto.
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![](image003.jpg)
Lovers
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Lunedì, 7 Agosto 2006
Inizio a scrivermele
…
Io li chiudo, gli
occhi, ma loro si riaprono.
Ma quando una persona
muore, che cosa succede?
Perché il
fumo va sempre in su?
Ma perché
non si può tornare indietro (nel tempo, ndr)?
Ma da dove arriva
lo sporco?
Ma perché
non posso tornare nella tua pancia?
(G., 4 anni e mezzo)
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![](paulopicassossonasharlequin1924.jpg)
Pablo Picasso, Paulo as Harlequin, 1924
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Martedì, 8 Agosto 2006
Sibili nell’aria (elogio dell’amicizia)
Ieri sera sul tardi mi è caduta una tegola in testa. Un dolore
che sarebbe vano raccontare, non oggi, si sa com’è. Sentivo
il sibilo nell’aria da giorni, ho provato a scansarmi con intenzioni
opposte a quelle che ha il portiere, quando tenta di parare il rigore.
O simile ero, se si vuole, a Benigni saltellante nel campo minato nell’ultimo
suo film. Io avrei tanto voluto scansare, ma non mi è riuscito.
Proprio no, centrata in pieno. Ho chiamato subito degli amici, ieri
sera, ed uno di questi si è affrettato stamane a venirmi a trovare.
Mi ha portato a vedere un quadro molto bello che ha fatto in questi
giorni, tutto giallo (l’ho fotografato ma la foto non è
granchè, il lavoro è più bello). Raramente ho avuto
la sensazione come stamane che la pittura sia parola, sia carezza, e
che lo sia il colore. Non c’era molto da dire , sulla tegolata
in testa, non c’è granchè da fare, se non aspettare
per ora. Questo amico è stato bravissimo a non dire parole per
riempire vuoti. Il vuoto dobbiamo tollerarlo, perché è
lui che racconta l’inesplicabile che si intreccia al senso dei
nostri giorni. Abbiamo parlato delle cose che amiamo, di pittura dunque,
di scuola, di poesia, mangiando pistacchi e bevendo Martini rosso (altro
non c’era, in casa). Ma mi ha portato un quadro così caldo,
avvolgente, intenso, ebbro e folle di luce. Lui dice che sta dipingendo
per ancorarsi alla vita; io ,che sono egoista, penso che lui senza saperlo
abbia preso in mano il pennello ed iniziato il suo lavoro perché
ha sentito lo stesso sibilo nell’aria che sentivo io, e avvertendo
segretamente che uno dei suoi amici era in pericolo, ha tessuto paziente
lo scialle di luce che abbraccia al solo vederlo, quasi un montaliano
girasole impazzito di luce. Sono certa che è così.
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Mercoledì, 9 Agosto 2006
Shedboatshed (mobile architecture no.2)
Cercando il sonno che non trovo ripensavo all’artista che ha vinto
il Turner Prize lo scorso anno, Simon Sterling. Mi sa che vale la semplicissima
regola del cinema: se il giorno dopo non ci pensi, non era poi un gran
film, se ti segue fuori dalla sala per giorni, sì. Ecco, io a
questo signor Sterling vorrei battere le mani, ed è passato quasi
un anno. Quando ho letto di quest’opera nelle pagine del Guardian,
mi prese una tale eccitazione e mi veniva da andare a raccontarla a
tutti, la storiella, come se dentro ad essa ci fosse un seme buono che
può far bene a tanti, che fa bene.Una sorta di speranza privata
e insieme collettiva. Sentite un po’ cos’ha fatto. Ha preso
uno shed (il capanno degli attrezzi che ogni inglese ha in giardino),
l’ha smontato e ha utilizzato i pezzi per fare una barca. Ha caricato
sulla barca i pezzi avanzati. Ha fatto con quella barca il viaggio sul
Reno fino a Basilea e li’, nel Museo di Basilea, ha smontato la
barca e ricomposto lo shed. Un’opera foriera di molte possibilità
di lettura, da quelle private che rinviano a trasformazioni e percorsi
interiori, a quelle sociali. Bellissima, secondo me.Voi che ne dite?
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Domenica, 13 Agosto 2006
L’amica Vicky, artista-tassista
C’è qualcosa di grandioso nei lavori di Vicky Philosoph,
e va ben oltre il loro essere riusciti da un punto di vista estetico.
Sono bellissimi, si potrebbe star ore a raccontare quanto felice sia
la composizione, l’equilibrio dinamico che sempre li sostiene
e diventa elemento stilistico, innamorato elogio della linea obliqua.
Ore, uno potrebbe spendere, a parlare del colore, evocativo e forte
insieme e dei neri abissali che gli fanno da controcanto. Pittura astratta
che racconta la natura senza descriverla o nominarla in alcun modo,
sgorgare di immagini nel punto preciso dove l’uomo e la natura
s’intersecano. Ma la cosa grandiosa di questi lavori è,
secondo me, il processo che c’è dietro, meglio ancora una
certa filosofia dell’essere al mondo che si fa processo artistico.
Vicky è davvero instancabile e quando lavora è una forza
della natura, bisognerebbe vederla; ha cura di tutto, niente è
perduto lungo il percorso. Quel che non funziona, quel che non va, viene
utilizzato in un altro lavoro. Un pezzetto di un lavoro che può
sembrare un fallimento, diventa la chiave di volta di un capolavoro.
Lei dipinge, incide, disegna ma anche strappa, incolla, appiccica veline
trasparenti dove il blu non cantava, fa cadere una pioggia di fuoco
col pastello grasso sopra un nero che era troppo compatto o non risuonava,
mescola le tecniche con la libertà che uno ha dentro di sè,
o non ha. Una volta le feci un’osservazione da manuale di tecniche
artistiche ; le dissi: “Se usi questa tecnica sopra quest’altra,
non sai quel che può capitare, nel tempo”. Mi rispose nell’unico
modo possibile :”So what?”. Imparo da te cara, anche ora
che siamo lontane. Non so se mai mi riuscirà di guidare l’auto
come te ( un tassista ti fece un giorno i complimenti per la guida e
ne eri giustamente orgogliosa), bello sarebbe saper guidare così
, anche negli ingorghi dell’esistenza. Ma non è poco quel
che ho imparato lavorandoti accanto: la cura del frammento, del foglio
slabbrato macchiato o malriuscito, dell’inciampo, dell’incedere
malcerto, nella vita e nell’arte.
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Lunedì, 14 Agosto 2006
Exercise with Happiness
“E’ dipinto con inchiostri e acquarelli su una tavoletta
gessata, montata in maniera da "galleggiare" sul muro. Cioe’
non ha cornice ne’ protezione alcuna, ma galleggia, appunto, espandendosi
come i cerchi nell’acqua quando un pesce sale a prendere una boccata
d’aria”.Mi
abbraccia così, Margherita, quando la incontro
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Lunedì,
14 Agosto 2006
Ridere nel sonno (lettera+postilla)
Man Ray, Tears
Il film che ti regalai
lo scorso Natale mi è molto caro e per più d’una
ragione. Ti scrivo dei pensieri, legati a questo film e a una tua riflessione
di qualche tempo fa. Io vidi quel film una sera di pioggia scrosciante
d’inizio autunno, il primo autunno del mio rientro. Mi prelevò
quasi di forza T., una mia compagna delle superiori , dicendomi che
il cineforum era quello che ci voleva, per lei, per me, per noi due
che ci ritrovavamo dopo anni. Io, che amo il cinema profondamente, non
rientravo in una sala cinematografica da almeno sei anni, dalla nascita
di C. Uniche eccezioni Tutto su mia madre di Almodovar e Billy Elliot.
Quel film – Lost in translation- passa tante cose, tante. E c’è
un punto per me straordinario dove Bill Murray dice due cose messe in
fila che mi rigarono le guance con una velocità inaudita. Quando
arriva un figlio- dice steso sul letto guardando il soffitto- tutta
la tua vita come tu l’hai conosciuta viene spazzata via in un
istante. (E uno). Quando un figlio inizia a camminare - continua-, soprattutto
a parlare, inizi ad amarlo e a vederlo come l’essere più
straordinario che esiste. (E due). Le lacrime agli occhi che ha lui
quando lo dice, e che vengono probabilmente a tanti tra quelli che hanno
un figlio guardandolo, sono l’equilibrio da sostenere tutta una
vita tra il numero uno e il numero due, come lacrima che non sa né
cadere né ritornare indietro e si ferma in bilico come nella
foto di Man Ray.
Mi colpì molto tempo fa una tua osservazione sul fatto che nessuno
ha mai saputo raccontarti per davvero l’emozione di avere un figlio.
Probabilmente non ho smesso di pensare a quelle tue parole, e proprio
oggi che mi sento la madre peggiore del mondo e che per poter chiarirmi
le idee e scrivere queste poche righe che leggi ora ho dovuto zittire
C. che non la smette di mettere il naso dentro le mie cose, oggi - dicevo-
io te la voglio provare a dire, questa emozione, anche se probabilmente
fallirò. Parlo per me naturalmente.
Non ti parlerò, perché sarebbe troppo semplice, delle
prime volte, il primo sorriso, i primi passi, la prima corsa, la prima
volta che un bimbo si veste da solo. Che risponde al telefono.
Banale sarebbe raccontare l’emozione che ti dà la somiglianza,
vedere che cammina come tuo padre, gli piace cantare come tuo nonno.
No, non è questo che a me resta di più di quel che finora
ho provato nell’essere genitore.
Tra le cose più emozionanti al mondo ricordo esserci il tepore
del corpo di un bimbo piccolo quando lo togli dal letto e lo stringi
a te. Dura secondi lunghissimi, ha un effetto confortante, calore che
ti arriva e consola. L’odore buono che hanno, fin che sono piccoli,
metti quattro anni ( poi, lo osservava anche V., cambia, quando è
giusto che tu ti stacchi, la natura toglie loro quell’odore irresistibile
come quello del pane) . Emozione grande è nominare loro, e poi
con loro , il mondo, cosa dopo cosa. Colore dopo colore. Forma dopo
forma. Sasso, nuvola, naso. Angelo, valle, conchiglia. Pioggia e mare.
Verde scuro e verde chiaro, rosso e bianco. Vedere come nasce il linguaggio,
proprio sotto i tuoi occhi. Colonna sonora dei tuoi giorni. E col linguaggio
il pensiero. Brividi quando usano i primi congiuntivi, quando ti fanno
domande cui non sai rispondere. Quando ti insegnano loro e vedono qualcosa
che tu non sapevi più vedere, riportandoti un pezzetto della
tua infanzia che avevi perso per strada (ricordo un giorno ad un semaforo
passò una betoniera gialla e mi parve di una bellezza da urlo,
ero sola ma l’avevo vista con gli occhi loro). Quando una mattina
ti raccontano il primo sogno comprendendo quel che il sogno è.
Quando capiscono che il passato non torna. E che non c’è
verso e non puoi nominare il numero più grande perché
ce n’è sempre uno più in là, in più.
E poi- mi è capitato quattro cinque volte - sentirli ridere nel
sonno come se, usando le parole di Ferlinghetti, il mondo fosse un bel
posto per esserci nati. Come se.Postilla:
Ho letto un post molto bello, qualche tempo fa “Noi figli non
ne vogliamo”, bello da entrare a ragione quel giorno nella HP.Quel
post raccontava benissimo l’arroganza e la supponenza di tutti
quelli che credono che aver figli sia l’unico modo di dar senso
all’esistenza. E’ chiaro che non lo è. Tuttavia c’è
da dire che il conformismo si annida ovunque e bisogna provare per credere
che cosa accade talvolta nel mondo degli intellettuali o artisti . Se
sei artista donna e fai figli ti si guarda dall’alto in basso,
poverina, non ha resistito all’istinto basso di procreare, sembrano
pensare. Una mia amica nascose la sua gravidanza per un lungo periodo
perché i galleristi non cambiassero idea sulle mostre da farle
fare. Bello sarebbe, se un giorno ciascuno potesse fare quel che vuole,
e dare alla propria vita il senso che crede.
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Giovedì,
17 Agosto 2006
Dell’essere in bilico
Giorgio Morandi è uno dei miei grandi amori. A volte mi faccio
le scarpe da sola, e mi chiedo “Ma come fai ad amare Morandi e
anche Bacon. Renditi conto”.”Si fa , si fa”. “Sono
come il giorno e la notte”. “Appunto, io ho dentro il giorno
e anche la notte dentro di me, da nutrire, o non si può, non
si può più?”.
Di Morandi amo la chiara chiarissima dimensione interiore. E’
riuscito a dipingere il silenzio, il pensiero. Mi inchino davanti alla
sua pittura che ragiona sul tempo, sulle relazione tra gli oggetti che
poi a me sembrano sempre presenze umane. Altro che bottiglie impolverate.
Ho visto le sue opere in tante occasioni, ero certa di aver visto praticamente
tutto finchè vidi delle opere a me ignote in una mostra che gli
dedicò la Tate Modern qualche anno fa , una mostra che per me
fu rivelatrice. Parlo di tre, quattro lavori nuovi per me, conoscevo
gli altri. I soliti oggetti, visti mille volte nei tanti dipinti conosciuti,
quegli oggetti visti per davvero nella ricostruzione dello studio del
pittore nel Museo Morandi, quegli oggetti- e poi mi fermo- che tante
volte ho guidato i miei alunni ad osservare, d’improvviso erano
accalcati sul bordo del tavolo , in bilico. Loro , che se ne erano stati
tanto tempo al centro del piano, centralissimi, d’improvviso,
tutti insieme erano migrati come stormo di rondini in autunno. Assiepati
lì, sul bordo del tavolo che diventava quasi il ciglio di un
abisso. Quasi ci fosse qualcosa là sotto, nel breve cono d’ombra,
a chiamare, ci fosse una domanda, o comunque una presenza. In quelle
opere respirai un sentimento altissimo ( e modernissimo) dell’essere
precari, dell’essere insieme e sospesi . Le amo follemente ancora.
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Venerdì, 18 Agosto 2006
Trentasette
e cinque
Prendo il tuo nome, che mi è caro, e penso ad almeno dieci parole
che abbiamo la stessa iniziale. Verbi, trenta secondi di tempo. Come
prendersi la febbre alle quattro.Salvarsi, stoppare, sentire, stendersi,
stimolare, stringere, stramazzare, salire, (anche) scendere, sminuzzare,sbriciolarsi.
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