Domenica, 18 Novembre 2007

Nove passeggiate alle nove di sera


Quella sera a cena decisi che era tempo di finirla, e che il problema andava affrontato da un diverso punto di vista. Decisi che da quella stessa sera io, dopo cena, avrei passeggiato. Non riuscivo ad alzarmi presto la mattina? Avrei passeggiato la sera. Lo comunicai desinando, con un senso incantevole di leggerezza nel cuore, come quando trovi la soluzione di un problema proprio là, sotto il tuo naso.
Giovanni mi seguì. La prima passeggiata fu breve, a stento un chilometro. Ricordo il nostro guardar su simultaneo verso quel cielo stellato delle nove di sera. Che belle stelle, disse lui incantato e iniziammo a camminare. Sul selciato del marciapiede saltellava giocando ad evitare di calpestare le ombre che incontrava. Fu appena una sferzata d’aria fresca, un esordio, un inizio.
Il giorno seguente si unirono anche Normaton e Tommaso. Mentre il metallico rumore del cancelletto ci separava dalla casa calda alle nostre spalle, avevamo brividi di novità che si affastellavano su per la schiena. Andavamo veloci per scaldarci che già era freddo, ma era insieme un’eccitante modo di correre incontro ad un regalo che ci facevamo ogni sera alle nove, una passeggiata senza meta e senza senso, ogni sera un po’ più in là. Eravamo strani, assorti nel silenzio, incapsulati in una strana e frizzante felicità, proiettati e insieme immersi nella primissima notte. Gli occhi rapaci coglievano cose che mai e poi mai avevamo colto passando di giorno in auto. Scoprimmo decine di anatre nell’ombra blu notte di un giardino, case singolari, alberi surreali. Ci accoglieva l’abbaiare dei cani che ogni sera si faceva meno insistente perché oramai eravamo una presenza nota, incontrammo regolarmente un signore che andava all’osteria e che prese a salutarci. Dalla quinta o sesta sera incontrammo gruppi di egiziani che andavano a pregare. Arrivammo la settima sera al centro del piccolo paese, tremai vedendo aperta la gelateria, I bambini ci chiederanno il gelato e non ho con me il becco di un quattrino, pensai. Non dissero nulla, videro il gelataio nella sua luce hopperiana e passarono oltre. L’ottava sera , passato il centro deserto del paese, ci fermammo davanti alla chiesa e improvvisai una brevissima lezione di storia dell’arte: la chiesa pseudogotica del paese, illuminata in arancione, annuiva sorridendo mentre indicavo ai bambini il protiro, il rosone , gli archetti pensili e la facciata a salienti. Normaton guardava le stelle a ponente. La nona sera arrivammo al passaggio a livello vicino alla stazione ferroviaria. Non ci parve neppure necessario aspettare un’improbabile treno, guardammo i binari verso nord e verso sud e tornammo a casa. Nessuno dei quattro sapeva che quella sarebbe stata l’ultima passeggiata notturna dell’autunno, ma ognuno sapeva in cuor suo che il passaggio a livello era stata un po’ la nostra meta. Fin lì eravamo arrivati.
Poi , come capita spesso, anche le cose che scopri più belle e irrinunciabili possono per motivi banali venire scalzate e tornare nell’oblio. Il giorno successivo una brutta tosse mi costrinse a letto e svanì nel giro di pochi giorni la nostra splendida nuova abitudine.
Ma è là, lo sappiamo tutti e quattro, riposta solo per un pò, ricchezza a portata di mano. Un giorno di questi riprenderemo. Forse anche prima che arrivi l’inverno.

 


Hopper, House at dusk, 1935


Domenica, 11 Novembre 2007

Ventino

Quella sera di ottobre ero stanca come se avessi appena concluso sette duelli con altrettanti spadaccini di valore, zappato dieci campi dieci, corso senza fermarmi mai per un giorno intero. Sprofondai nella poltrona di casa cercando l’attimo in cui il piede , toccato già il fondo, si dà la spinta per riemergere sperando di ritrovare presto la superficie e la luce. Quell’attimo l’ha portato lui, Giovanni, giunto quatto quatto . Ne sentivo il respiro e indovinavo le mosse simili a quelle agili di un gatto. Ho lasciato fare senza aprire gli occhi. (Mi bacerà? Mi dirà il suo irresistibile Sei la mamma più bella del mondo,mi pare…) Ho sentito un leggero refolo d’aria calda che mi accarezzava il viso disegnandone il contorno senza fermarsi. Ho aperto gli occhi e ho visto il mio piccolo Zefiro con le guance gonfie e rosse, indaffarato come se quello che stava facendo fosse la cosa più importante del mondo.
Tu stai solo ferma che ti faccio tutto intorno alla faccia il ventino, vedrai che poi andrà meglio.

 



particolare della Nascita di Venere del Botticelli