Domenica, 30 Luglio 2006
Dell’essere nuvola

Ringrazio il cielo che da sempre so sentirmi nuvola. Nuvola leggera e bianca, o nuvola nera e acuminata col tuono dentro. Nuvola sola e fiera nel cielo terso, nuvola tra le nuvole, nuvola dentro una nuvola, nuvola con dentro una nuvola. Nuvola che confina col mare e ci si confonde. Nuvola che c’è anche se è notte. Nuvola burrosa da mangiare, nuvola che si mangia la cima della montagna. Nuvola ritagliata nella carta . Nuvola come quelle di Magritte. Nuvola rossa spinta dal vento caldo come quelle di Nolde. Nuvola grande come il cielo, grigia, e nulla accade. Nuvola che sta per sparire nell’azzurro del cielo.
A saper essere nuvola si capisce meglio cosa vuol dire essere scarpa. Scarpa rotta con la punta sbucciata. Scarpa bucata che fa musica a camminarci nella pioggia.
Scarpa da festa. Scarpa coi tacchi. Prima scarpa di un bambino. Scarpe di tuo padre quando cercava funghi. Scarpa che è ora di buttarla e ti dispiace e non ce la fai. Scarpa che te l’hanno regalata e non ci speravi e ti va di un bene. Io mi annoio a essere solo me stessa (ho già calcolato perimetro ed area), e se mi hanno messo tutto questo ambaradan intorno sarà pure perché io provi a figurarmi di essere cosa diversa da me stessa, e perchè dalle cose impari. Immagina, penso adesso, che bello essere un faro, punto fermo intorno al quale ruotano vite e vite. Accendersi e spegnersi nella notte come il pulsare del cuore nelle vene. O essere cosa inanimata, metti un sasso che sta fermo tutta una stagione e poi un giorno arriva un ragazzetto e lo lancia dentro il fiume con un grido di gioia. O un sasso che sta lì e il ragazzetto non arriva mai. Essere una delle miriadi di goccioline che formano l’arcobaleno; o sentirsi addirittura l’arcobaleno intero, certi giorni. Essere giocattolo, quello preferito. Essere albero che fiorisce anche se metà dei rami sono spezzati. Un anno da molti frutti e un anno no, e così via per un secolo . Essere la soglia di casa che una famiglia nei decenni consuma. Essere un letto che abbia sentito tutte le parole dell’amore e del disamore. O letto sul quale un bambino cresce (dicono che crescano di notte). Essere guanciale che in un unico abbraccio accoglie sogni e pensieri, notte dopo notte. Essere la scodella scheggiata negli anni che un bimbo usa ogni mattina fino a quando smette di bere il latte. Essere la pagina del libro, proprio quella perché una è , sulla quale un bimbo si accorge che ha imparato a leggere. Essere il corniolo in fiore che aspetta – mentre ancora fa freddo- il poeta che racconti la promessa del giallo dei suoi fiori.


Emil Nolde, Summer clouds, 1913