Venerdì,
2 Marzo 2007
Nell’aria
Dormiresti di più ma non è quello. Non è il campionario
dei verdi che si annuncia nelle vie e nei giardini. Non è perché
i giorni sono più lunghi e la terra lavorata è uno scrigno
di promesse. Neanche perché i vestiti dei manichini sono leggeri
e colorati e i passi della gente pure. O perché la scadenza dello
yogurt ti ricorda da giorni che sta arrivando. E’ che un giorno
senti nell’aria un profumo, e tra la fatica e l’emozione
tutto ricomincia . Prima dello stridio delle rondini, prima che fiorisca
nei quaderni a righe dei bambini e attaccata alle finestre degli asili,
prima di cacciare i cappotti in fondo agli armadi, prima del compleanno
di Margherita, prima del 21. La primavera, che certi anni è sempre
la solita e certi anni no. Sono andata a salutare a scuola dopo aver
eliminato il post qui sopra, Banale, laurette ti prego non essere banale.
Davanti alla macchinetta del caffè una collega mi ha detto L’ho
sentita ieri sera. E’ un profumo che arriva, per me è arrivata
ieri sera. Ho sorriso e sono tornata un attimo a casa per postare. Che
non è la solita primavera.
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Robert Delaunay,
Disques colòres, 1913
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Lunedì,
5 Marzo 2007
Si respira in tutte le sale, se si toglie la sala delle nature morte
all’inizio del percorso dove i colori spenti, i toni bassi e gli
oggetti delle composizioni sono l’eco della guerra. Ma dopo esplode,
la gioia, l’amore che si racconta giorno per giorno nei tratti
incantati di Francoise Gilot, la pienezza della forma nei nudi instancabili
che si siedono e poi si stendono e poi si rialzano. Fauni, satiri ,
ninfe trasformano le tele e i disegni in un’arcadia che si vorrebbe
non finisse mai. E il Mediterraneo è negli occhi. Pesci, vasi,
strumenti musicali, gufi, civette. La vita tutta, ammaliante. Fino al
grande e celebre dipinto La Joie de vivre. E’ emozionante vedere
cosa la fine della guerra, insieme a una privata felicità sentimentale,
portò nell’opera di Picasso. Guernica lontana. Sono presenti
delle serie di lavori su carta dove si vede il lavoro incessante dell’artista,
che parte dal reale per arrivare a poche linee che contengono l’essenza
della forma. La famosa serie delle litografie dedicate al toro è
tutta presente, magnifica . Le annotazioni temporali a margine aiutano
a capire, il pensiero fisso del pittore è li, concentrato e assorto
come il bambino di Eraclito a muovere i pezzi sulla scacchiera. Una
mostra bellissima. Palazzo Grassi fino all’11 marzo.
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Pablo Picasso, Ritratto di Francoise Gilot
Picasso La Joie de vivre , "Joie de vivre", 1946
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Lunedì,
5 Marzo 2007
Scatto
Uno scatto di Normaton. Tutto l’incanto delle betulle si assiepa
in primo piano in questa immagine che visivamente richiama alla mia
mente certi lavori di Klimt. E’ un gioco di bianchi e molti grigi
che percorre la foto dall’alto in basso e dal basso in alto senza
stancarsi. Ci arrampichiamo visivamente sui tronchi , incrociando ammiccanti
occhi bruni, buchi neri di velluto buono. La bicicletta là in
fondo è il soggetto, bellissima e chiara apparizione da quel
luogo lontano e di tutti che è l’infanzia. Non una bicicletta,
la bicicletta. Quell’uomo col telefonino a sinistra carica l’immagine
di altre possibilità, chissà chi è, chissà
che dice, e se per caso il soggetto della foto non è la bici
ma lui, noi che attraverso la foto guardiamo, diventiamo dei misteriosi
personaggi che guardano non visti. Con quel signore usciamo dall’immagine,
in alto a sinistra, senza fretta. Negli occhi un pò di bellezza
in più.
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Normaton, London Tate Modern, 2006
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Lunedì,
5 Marzo 2007
Gulasch alla triestina e corona d’alloro
Sabato ho fatto il gulasch alla triestina. In una casseruola ho messo
cinque cucchiai d’olio e seicento (600!) grammi di cipolle rosse
che ho lasciato appassire a fuoco bassissimo e con il coperchio per un’ora.
Ho aggiunto poi la carne di manzo, un chilo, tagliata a pezzetti e l’ho
fatta rosolare a fuoco vivace per qualche minuto. Quindi ho aggiunto un
rametto di rosmarino, una foglia di alloro, un cucchiaio di concentrato
di pomodoro disciolto in 2 dl d’acqua tiepida, un po’ di maggiorana,
un cucchiaio di paprica dolce, un po’ di sale. Ho lasciato cucinare
per due ore a fuoco bassissimo. Ho servito con polenta. Vino rosso terrano
del 2004. Ci siamo leccati i baffi tutti, ripetutamente. Con l’alloro
rimanente abbiamo intrecciato una corona e per gioco l’abbiamo messa
in testa a Tommaso, che l’ha voluta tenere in testa tutto il fine
settimana, incuranti noi e incurante lui degli sguardi un po’ straniti
della gente quando siamo usciti a camminare in collina. Come i romani,
come i poeti, come i laureati, ha un buon odore, lasciamela tenere dài.
Il fine settimana è finito, il gulasch e il terrano pure. Mi resta
l’incanto di alcune foto di Tommaso con quella corona di lauro .
E’ per questo che ora siedo al mio tavolo e cerco di disegnarne
il sorriso .
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Martedì,
6 Marzo 2007
Amori astratti
Amami ma ora rema eternamente
Angelica mamma ordina rigore energicamente
Avida mia oliata recondita elica
Ah ma ora ricordi eh?
A me occorre ruminare erba
Artista morigerato o ridondante esteta?
Antico molo orla relitto estivo
Ansimo ma ora riposando espierò
Annuncio mattutino odia risposta esauriente
Andrò mio odisseo resiliente esule
Alla mia ode rimase esterrefatto
Anita modula orgasmi resistendo eterea
Acqua marina ondula rettilineo entroterra
Accadde martedì o ricordo erroneamente?
Al mercato odo richiami eloquenti
Annaspo madida, ora riposo eh…
A milano o roma era
Amato motore o ramato erpice?
Amabile moglie ordisce ratto estemporaneo
Ambedue mischiavano oscenità rose endecasillabi
Anoressico marinaio ondeggia remando esperto
Azzurro moderato occhieggia rosa esaltato
Aritmia mistica origlia rossore esilarante
Anno millenovecentonovantasette orsù recò emozioni
Angelo m’ode recitare endecasillabi
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Giosetta
Fioroni, "Cuore astratto" (1986) |
Mercoledì,
7 Marzo 2007
spazio
Sono molto
irrequieta
quando mi legano
allo spazio.
Alda Merini Aforismi
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Mercoledì,
7 Marzo 2007
Disegno te
Diciamocelo pure, non ci siamo amate subito. Il tuo odore non mi era
piaciuto quella prima mattina d’agosto, era un odore che stava
attaccato all’asfalto, non volava da nessuna parte, e anche il
grigio, che mi aveva abbracciata uscendo, era fisso, immoto. Invece
da subito ho amato il tuo fiume, come di un uomo che non ti dice nulla
ti piacciono magari le labbra, e ti ricordano le labbra di un altro
che ti piaceva davvero, e intero. Ecco, io ho amato subito la tua senna-
tu che parigi non sei- la tua grande esse che ancora ora dall’alto
mi incanta. I tuoi ponti, la southbank, il tuo essere mille cose insieme,
lo skyline che muta sempre, i tuoi palazzi che sembrano giocattoli.
C’è stato un anno che ogni sera al binario di vauxhall
mi ipnotizzavano tre palazzi che crescevano a vista d’occhio e
sopra ad essi sembravano esserci dei grandi libri aperti. Che meraviglia
sai essere. Adesso che sono lontana , e proprio in questi giorni che
la natura si prepara ai fuochi d’artificio dei colori ( anzi le
magnolie e gli albicocchi hanno già iniziato a fiorire) io disegno
te, come se avesse senso, come se mi servisse, come se quella trama
inesplicabile di esistenze che tu contieni sprigionasse ora e più
di allora , attraverso il tempo e lo spazio, la sua malìa. Come
se i conti non fossero chiusi. Ti ho dipinta anche oggi, come se ti
amassi più di quanto ti amavo.
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Venerdì,
9 Marzo 2007
Pecore al buio
Nel buio di velluto della stanza ho sentito un impercettibile respiro.
Giovanni?
Ho contato le pecore, erano 129 ma non riesco a dormire lo stesso.
Vai , torna in camera, ricontale che erano di più.
Silenzio. Sale sul letto e con le mani inizia a tastare, la piccola
mano percorre i promontori delle gambe, le vette dei piedi. Il suo toccare
mi fa immaginare le nostre forme dall’alto. E rivedo nella mia
mente i lavori amatissimi di Domenico Gnoli, i suoi straordinari dormienti.
Cerca un pertugio, un canyon per intrufolarsi. Lascio fare per un po’
, sperando che desista. Dopo cedo, sposto la gamba e lo lascio passare.
Per una volta che succederà mai. Si stende tra me e Normaton
che dorme e non ha sentito nulla.
Grazie che mi hai salvato dal buio.
Buonanotte , comunque le pecore erano di più.
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Martedì,
13 Marzo 2007
Renewable
Un tempo lavorava per una grande compagnia petrolifera. Vide il mondo,
dai mari del Nord al Medio Oriente all’Africa prima di iniziare
un lavoro d’ufficio per quella stessa compagnia in una grossa
metropoli europea.
Ma qualcosa cresceva dentro di lui. All’inizio era solo un seme,
una possibilità, nata da letture estemporanee e pensieri . L’estate
capitava di trovarlo in riva al mare, assorto , e alla compagna che
gli chiedeva cosa c’era che non andava lui rispondeva che tutto
quel vento era energia, energia che andava sprecata.
Iniziò a coltivare quel seme, quei pensieri. Si comprava sempre
più libri sulle energie alternative finchè decise che
a quarant’anni non era tardi, che soprattutto in quella città
non lo era, che poteva provarci. Si iscrisse all’open university,
ed iniziò a studiare con metodo, il suo metodo, le energie rinnovabili.
Diventava studente ogni sera dopo essere stato papà. Studiava
e scriveva tra passione e fatica. Non mancarono gli attimi di sconforto
ma neppure le risate, e la sua compagna racconta ancora adesso un aneddoto
legato ad uno studio dettagliato che lui doveva presentare sulla quantità
e la tipologia dei rifiuti domestici.
Si dovevano separare per una settimana i rifiuti in almeno dieci categorie,
per poi pesarli rigorosamente e tabulare i dati. Un giorno lei, esasperata,
non sapendo dove mettere un involucro scintillante che plastica non
era fece l’unica cosa scientificamente logica: lo mangiò.
E quando la ricerca finì, lei provò un piacere enorme
nel buttare la spazzatura nel secchio sotto il lavello.
Prese il coraggio a due mani ( tre se le avesse avute). Lasciò
il lavoro per completare i suoi studi. Erano intimoriti entrambi ma
andarono avanti come fanno i funamboli sulla corda . Scelsero di tornare
a vivere in campagna in una dimensione diversa. Un anno e mezzo rimase
alla scrivania, a studiare, a cercare faticosamente il bandolo della
matassa. Era davvero un partire dal nulla. A volte era furioso che nulla
accadeva, più spesso preoccupato perché con uno stipendio
solo era dura, sempre di fronte a sé aveva chiarissimo l’obiettivo,
e non si curava troppo se qualcuno gli diceva che forse avrebbe dovuto
adattarsi a fare un lavoro diverso. Lui voleva lavorare per un’energia
pulita.
Un giorno qualunque, arrivò il lavoro che gli piaceva fare, senza
squilli di tromba, né compensi scintillanti. Persone che la pensavano
come lui sedute alla scrivania accanto, gli stessi entusiasmi, grandi
progetti e gente comune che telefona per sapere e sceglie di avere un
impianto fotovoltaico sopra il tetto. Così un uomo di quarant’anni
si trasformò da geofisico in tecnico di energie rinnovabili,
rinnovando anche se stesso, nel profondo. Perché rinnovarsi è
un modo di essere, che sia l’energia, che sia la tua vita.
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Jean-Michel Folon
Jean-Michel Folon
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Mercoledì,
14 Marzo 2007
Tre aquiloni
Li ho visti all’improvviso emergere dal gioco dell’intrecciarsi
dei rami degli alberi. Tre aquiloni di metallo, altissimi e fieri sul
loro lungo ed arcuato stelo, lanciati lassù e lassù vedette,
piccole vedette cui verrebbe da chiedere Che c’è, chi arriva,
cosa c’è là in fondo, si vede Venezia laggiù?
Un incanto, un tuffo al cuore, vederli all’improvviso da lontano.
Presenze discrete e furiosamente poetiche, evocatori di venti, incantatori
d’uomini dal cuore bambino, cartina di tornasole dei ricordi,
libertà che si veste di metallo e sta lì perché
i passanti vedendola ne riassaporino il desiderio.
Arriva lei e le chiedo. E lei racconta, Giovanni li ha creati subito
dopo la nascita del loro primogenito. Si spiega il volare alto e insieme
di questi tre.
Vedessi cosa sono quando c’è vento, i movimenti, i suoni…
aggiunge. E io resto lì, col naso all’aria. Non so neanche
quanto.
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Venerdì,
16 Marzo 2007
Buco della serratura
Non so neanche di preciso quando ho iniziato. So che alle medie due
supplenti (e non la mia insegnante) mi dissero che ero brava e che era
il caso che io ci pensassi. Mi dissero entrambi che avevo il senso della
materia. Mi ci sono voluti almeno quindici anni per capire davvero cosa
voleva dire ma capivo che intendevano che io potevo dipingere. Di lì
a poco vidi il film su Van Gogh con Kirk Douglas. Mi fulminò
la storia di quell’uomo e dev’essere stato così che
iniziai. Chiesi di poter comprarmi i colori ad olio. Ricordo la mia
prima copia fu di un capriolo dormiente, credo di Segantini. Mi perdevo
dentro i fili della paglia sulla quale il capriolo giaceva e provavo
a riprodurli uno ad uno. Che fatica.
Da allora la pittura è stata sempre al centro della mia vita.
Ho studiato, ho visto, ho dipinto. Molto. I miei lavori sono stati visti
qua e là. Apprezzati, anche. Non vivo di pittura ma la pittura
mi fa vivere. Ho sempre scelto le mele al supermercato pensando di poterle
dipingere subito al rientro. Poi spesso le mangio e basta.
Avere gli occhi da pittore è un regalo del cielo.
Mia madre dice a volte Di te non avrei mai pensato che saresti diventata
pittrice, tuo fratello sì che era bravo e all’asilo ha
disegnato la banda e il disegno era così bello che l’hanno
lasciato appeso per mesi . Comunque sta cambiando anche lei, attraverso
la pittura (un po’ di pittura al giorno, toglie lo stereotipo
di torno). Una volta quando un mio lavoro le piaceva era un segnale
certo che stavo dipingendo male. Lei diceva Bello dopo essere stata
in mansarda, e a me si accartocciava lo stomaco dalla preoccupazione.
Ora mi rendo conto che non è più così, lei dice
Bello e non è detto che non lo sia. Brutto e non è detto
che sia bello.
Io lavoro e sto qua. Mi si chiede a volte Ma per chi li fai, ne hai
già tanti che non ci stanno più. E io rispondo nell’unico
modo possibile . Li faccio per me. Che senza non riesco a stare. Banale
come può sembrare quest’affermazione, è vera come
è vero che mi chiamo laurette. J
Apro un buco della serratura sul mio studio provvisorio : ore quattro
meno dieci di ieri.
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Domenica,
18 Marzo 2007
Morte di un moscerino
Morì alle quattro e venticinque di sabato 17 marzo 2007 a pagina
113 di Magazine. Aveva volato incurante a mezz’aria tra la pagina
112 e il nostro naso. Era la pagina dell’arte . Tre volte l’ho
scacciato e poi con gesto repentino l’ho schiacciato. E con Tommaso
ragioniamo ora sull’universo infinito che per un moto d’ira
ha un essere vivente in meno e che un istante prima di morire con un
fremito di una zampetta sembrava volerci dire qualcosa. Giochiamo certo,
ma per gioco continuiamo e proviamo a chiederci la ragione di tutto
questo. Perché, percome, percosa. E ci accorgiamo che la pagina
dove questa piccolissima morte è accaduta è una pagina
importante, perché parla di prevenzione e cioè di vita.
Tommaso sorride mentre io scrivo che è la pagina che con lo slogan
mi volio bene e un sorriso d’olio su bruschetta e occhi ciliegini
pubblicizza la settimana nazionale per la prevenzione. Dal 16 al 25
marzo. Perché come recita la LILT (lega italiana per la lotta
contro i tumori) Prevenire è vivere.
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Martedì,
20 Marzo 2007
Lettera ad una donna che sta piantando un bosco
L’ho visto stamattina a duecento metri dal semaforo. Vicino al
distributore dove un giorno tu ed io ci salutammo dopo aver fatto visita
a mia madre in ospedale, ricordi? Là, sulla sinistra, c’è
un bosco di ulivi secolari, un uliveto. Se tu fai come i pittori che
con le mani si tolgono dal campo visivo quel che non vogliono vedere
e copri le grosse zolle negli enormi contenitori, ti sembra di essere
nel Salento, o forse nella piccola isola di Othoni dove scattò
delle bellissime foto Normaton. O in Toscana, o in Liguria. E invece
è qui , subito dopo il semaforo, una cittadina a caso del nord
est, alberi grossi che da sola non potrei chiuderli in un abbraccio,
tantissimi, che una volta nei vivai ne vedevi due tre di così
grandi mentre ora non si contano. Per un bosco di ulivi secolari al
semaforo c’è una folla di persone che andrà al vivaio
e se li porterà a casa, insegnando ai propri figli che tutto
si può avere, e subito, basta avere i soldi. E che si compra
anche il tempo. E allora ti ho pensata, tu che l’altra sera nel
nostro trimestrale incontro al saloon mi raccontavi che stai piantando
un bosco di piccole piante autoctone e selvatiche nel campo. Ti vedo
sai, e dal giardino di casa tua, che era prato quando ci conoscemmo
e che ora ha alberi alti che da tanto dura la nostra amicizia, da lì
ti vedo- amareggiata dal mondo e del mondo innamorata- che vai sul campo.
Lì senza fretta metti a dimora queste piccole piante che altri
estirperebbero non vedendo gli alberi del futuro che esse sono. E il
tuo bosco esiste già, invisibile ai più.
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Salento, Normaton) |
Mercoledì,
21 Marzo 2007
Appartenenze
Appartengo a un’infinità di gruppi di persone. Da quando
sono nata, fino a quando morirò. Vedo questi gruppi sfaldarsi e
ricomporsi in un caleidoscopio che mi definisce e mi accoglie. Gruppi,
sottogruppi. Gruppi reali, altri ideali. Grandi e piccoli. Qualche scelta
e molto caso.
Gruppi fortunati che durano una vita (l’insieme delle persone che
ogni giorno sulla faccia della terra mangia più volte al giorno
e a volontà), altri inconsistenti e fragili che durano pochi minuti
(il gruppetto di pedoni che con me attende al semaforo di poter passare).
Gruppi buoni per una stagione (il tempo di imparare a nuotare) altri un
po’ di più, un anno scolastico, una gita , qualche anno,
ore o per sempre. Gruppi che valgono il tempo della mia ragione (appartengo
al gruppo di persone che vota a sinistra), altri la cui ragione mi sfugge.
E poi il gruppo di chi crede che la pittura non è finita, né
finirà. Di chi ha scelto di avere figli e stremato verso le otto
di sera si chiede perché non hanno il pulsante on/off . Di chi
ha gli occhi castani e da innamorata verdi. Di chi ha un blog e non è
un passatempo .Quello di chi sa cos’è la malattia e la combatte.
Di chi ogni tanto fa un saltello senza ragione. E quando gli viene il
singhiozzo non passa più. Di chi è stato povero, beve acqua
di rubinetto, scalda il pane vecchio. Fa fatica a guardare la televisione.
Di chi ha fumato non fuma più e davanti a un plotone d’esecuzione
chiederebbe davvero un’ultima sigaretta. Di chi non è ambizioso
e così si frega. Di chi la perfezione non sa dove stia di casa
(salvo sentirsi certi giorni un perfetto acchiappafarfalle).Di chi il
21 marzo augura buona primavera.
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Wassily Kandinsky, Farbstudie Quadrate
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Martedì,
27 Marzo 2007
11.37, 27-3-2007
su tela, stanza dei bambini
Lo stridio delle rondini
Bambini con i baffi da latte
I vecchi quando si commuovono
Un uomo che ti fa sentire sua con un solo gesto
O sguardo
Il primo temporale dell’anno
Reclinare il capo all’indietro
Che ti aspetti la casa che tu aspetti
Asfalto bagnato
Il fiorire
I passaggi a livello
Odore di benzina
Annuncio all’aereoporto
Pasqua
Orizzonte
Scarpe nuove
Andare in bici senza mani
Vestirsi di bianco la domenica
Bere vino con un’ amica
Cena a casa il sabato sera
Candela sul tavolo
Primo giorno di scuola da professore
Ultimo giorno di scuola da professore
E di tuo figlio
Il verde e nero dei tigli
Villa palladiana avvolta nel velluto verde della collina
Primo caffè del mattino
Abbraccio di un amico
Cucinare con i bambini
Ridere con la cassiera
Alba
La domenica mattina
Viaggiare di notte
Pioggia sul tetto
Caldo alla pelle
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Laurette,
Trittico del fiorire ,
particolare, cm 90×90 ognuno, olio |
Giovedì,
29 Marzo 2007
Un’emozione e due pensieri sulla scuola
Mi sono svegliata alle sei con la stessa sensazione che si ha quando
si deve andare in gita, quando si parte, quando finalmente arriva qualcosa
che si aspettava da tanto, un amico che torna, la neve. Sapevo che sarebbe
stato un’emozione tornare dopo sei mesi, che lunedì l’oncologo
mi ha detto Se si sente può riprendere. E’ stato più
forte di quanto credessi. La scuola, che tanto male viene dipinta dai
giornali, come se dentro vi accadesse qualcosa di orribile che non accade
fuori, credo sia ancora una scatola delle meraviglie, vivaio del futuro,
bosco di dopodomani. Lungo il corridoio ancora deserto ne ho risentito
l’odore venirmi incontro, tra brividi di gioia e un desiderio,
di insegnare a lungo, che è tra i lavori più belli del
mondo. Odore di scuola. Luogo dove i ragazzi crescono dentro di giorno
se è vero che il loro corpo cresce di notte, luogo di contraddizioni
e piccole certezze che germinano. Forza, non smetto di percepirne la
forza, dentro quelle mura, nei cortili alla ricreazione dove le ultime
corse di bambini incrociano i passi di chi da un giorno all’altro
vedi grande. Potenziale enorme. Se c’è qualcosa di malato
nella scuola è quella stessa cosa che è anche fuori, dove
la cultura della diversità è ancora un miraggio e la barbarie
dell’apparenza una realtà che punge più dell’agrifoglio.
Dove il sesso e l’ uso del corpo svuotato di valore viene usato
, mandato in onda e messo in mostra ovunque, e mi pare a volte che anche
la homepage di Repubblica stia cambiando, con tutte quelle figurine
sulle donnine ine che clicco anch’io ogni tanto come a seguire
una grande mamma che mi porta nel fosso e dopo aver guardato le figurine
mi chiedo Embè? Se questo proponiamo ovunque, questo impareranno
i ragazzi, e la superficialià resterà nell’aria
, dragone difficile da combattere tra i banchi la mattina. (Cosa stiamo
diventando ? Cosa siamo diventati? In che cosa stiamo trasformando il
benessere materiale?) L’educazione spetta a voi disse l’anno
scorso una madre in una riunione. E il punto credo che sia proprio qui,
perché invece l’educazione spetta a tutti e non solo alla
scuola. Tolto quel po’ di marcio che c’è ovunque,
la scuola è un posto dove si lavora, e bene, e i ragazzi imparano
nella trama complessa e mutevole dei nostri tempi. Questo credo, questo
ho percepito anche stamattina, dopo sei mesi che ne ero lontana.
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Venerdì,
30 Marzo 2007
La trottola
Un filosofo si tratteneva sempre dove c’erano bambini a giocare.
E quando vedeva un ragazzo con una trottola, si metteva subito in agguato.
Non appena la trottola girava, il filosofo la inseguiva per prenderla.
Che i bambini facessero chiasso e cercassero di allontanarlo dal loro
giocattolo, non gli importava; se riusciva a prendere la trottola, mentre
ancora girava, era felice, ma solo un istante, poi la buttava via e
se ne andava. Credeva infatti che la conoscenza di ogni inezia, dunque
anche, ad esempio, di una trottola che gira, fosse sufficiente per conoscere
l’universale. Perciò non si occupava dei grandi problemi;
gli pareva antieconomico. Conoscendo realmente la minima inezia, è
come conoscere tutto; perciò si occupava soltanto della trottola
girante. E ogni qualvolta si facevano i preparativi per farla girare,
aveva la speranza che vi sarebbe riuscito, e quando la trottola girava,
mentre la rincorreva ansimando, la speranza gli diventava certezza,
ma poi, quando si trovava in mano quello stupido pezzo di legno si sentiva
male e le grida dei bambini che fino a quel momento non aveva udite
e ora invece gli colpivano improvvisamente le orecchie, lo facevano
fuggire, sicchè andava barcollando come una trottola sotto una
frusta maldestra. Franz Kafka, The top, 1920 (l’ho letto qui)
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