Venerdì, 2 Marzo 2007
Nell’aria


Dormiresti di più ma non è quello. Non è il campionario dei verdi che si annuncia nelle vie e nei giardini. Non è perché i giorni sono più lunghi e la terra lavorata è uno scrigno di promesse. Neanche perché i vestiti dei manichini sono leggeri e colorati e i passi della gente pure. O perché la scadenza dello yogurt ti ricorda da giorni che sta arrivando. E’ che un giorno senti nell’aria un profumo, e tra la fatica e l’emozione tutto ricomincia . Prima dello stridio delle rondini, prima che fiorisca nei quaderni a righe dei bambini e attaccata alle finestre degli asili, prima di cacciare i cappotti in fondo agli armadi, prima del compleanno di Margherita, prima del 21. La primavera, che certi anni è sempre la solita e certi anni no. Sono andata a salutare a scuola dopo aver eliminato il post qui sopra, Banale, laurette ti prego non essere banale. Davanti alla macchinetta del caffè una collega mi ha detto L’ho sentita ieri sera. E’ un profumo che arriva, per me è arrivata ieri sera. Ho sorriso e sono tornata un attimo a casa per postare. Che non è la solita primavera.

 


Robert Delaunay, Disques colòres, 1913

 

Lunedì, 5 Marzo 2007

Si respira in tutte le sale, se si toglie la sala delle nature morte all’inizio del percorso dove i colori spenti, i toni bassi e gli oggetti delle composizioni sono l’eco della guerra. Ma dopo esplode, la gioia, l’amore che si racconta giorno per giorno nei tratti incantati di Francoise Gilot, la pienezza della forma nei nudi instancabili che si siedono e poi si stendono e poi si rialzano. Fauni, satiri , ninfe trasformano le tele e i disegni in un’arcadia che si vorrebbe non finisse mai. E il Mediterraneo è negli occhi. Pesci, vasi, strumenti musicali, gufi, civette. La vita tutta, ammaliante. Fino al grande e celebre dipinto La Joie de vivre. E’ emozionante vedere cosa la fine della guerra, insieme a una privata felicità sentimentale, portò nell’opera di Picasso. Guernica lontana. Sono presenti delle serie di lavori su carta dove si vede il lavoro incessante dell’artista, che parte dal reale per arrivare a poche linee che contengono l’essenza della forma. La famosa serie delle litografie dedicate al toro è tutta presente, magnifica . Le annotazioni temporali a margine aiutano a capire, il pensiero fisso del pittore è li, concentrato e assorto come il bambino di Eraclito a muovere i pezzi sulla scacchiera. Una mostra bellissima. Palazzo Grassi fino all’11 marzo.

 

 


Pablo Picasso, Ritratto di Francoise Gilot



Picasso La Joie de vivre , "Joie de vivre", 1946

 

 

Lunedì, 5 Marzo 2007
Scatto

Uno scatto di Normaton. Tutto l’incanto delle betulle si assiepa in primo piano in questa immagine che visivamente richiama alla mia mente certi lavori di Klimt. E’ un gioco di bianchi e molti grigi che percorre la foto dall’alto in basso e dal basso in alto senza stancarsi. Ci arrampichiamo visivamente sui tronchi , incrociando ammiccanti occhi bruni, buchi neri di velluto buono. La bicicletta là in fondo è il soggetto, bellissima e chiara apparizione da quel luogo lontano e di tutti che è l’infanzia. Non una bicicletta, la bicicletta. Quell’uomo col telefonino a sinistra carica l’immagine di altre possibilità, chissà chi è, chissà che dice, e se per caso il soggetto della foto non è la bici ma lui, noi che attraverso la foto guardiamo, diventiamo dei misteriosi personaggi che guardano non visti. Con quel signore usciamo dall’immagine, in alto a sinistra, senza fretta. Negli occhi un pò di bellezza in più.

 

 


Normaton, London Tate Modern, 2006

 

Lunedì, 5 Marzo 2007
Gulasch alla triestina e corona d’alloro


Sabato ho fatto il gulasch alla triestina. In una casseruola ho messo cinque cucchiai d’olio e seicento (600!) grammi di cipolle rosse che ho lasciato appassire a fuoco bassissimo e con il coperchio per un’ora. Ho aggiunto poi la carne di manzo, un chilo, tagliata a pezzetti e l’ho fatta rosolare a fuoco vivace per qualche minuto. Quindi ho aggiunto un rametto di rosmarino, una foglia di alloro, un cucchiaio di concentrato di pomodoro disciolto in 2 dl d’acqua tiepida, un po’ di maggiorana, un cucchiaio di paprica dolce, un po’ di sale. Ho lasciato cucinare per due ore a fuoco bassissimo. Ho servito con polenta. Vino rosso terrano del 2004. Ci siamo leccati i baffi tutti, ripetutamente. Con l’alloro rimanente abbiamo intrecciato una corona e per gioco l’abbiamo messa in testa a Tommaso, che l’ha voluta tenere in testa tutto il fine settimana, incuranti noi e incurante lui degli sguardi un po’ straniti della gente quando siamo usciti a camminare in collina. Come i romani, come i poeti, come i laureati, ha un buon odore, lasciamela tenere dài. Il fine settimana è finito, il gulasch e il terrano pure. Mi resta l’incanto di alcune foto di Tommaso con quella corona di lauro . E’ per questo che ora siedo al mio tavolo e cerco di disegnarne il sorriso .

 

Martedì, 6 Marzo 2007
Amori astratti


Amami ma ora rema eternamente
Angelica mamma ordina rigore energicamente
Avida mia oliata recondita elica
Ah ma ora ricordi eh?
A me occorre ruminare erba
Artista morigerato o ridondante esteta?
Antico molo orla relitto estivo
Ansimo ma ora riposando espierò
Annuncio mattutino odia risposta esauriente
Andrò mio odisseo resiliente esule
Alla mia ode rimase esterrefatto
Anita modula orgasmi resistendo eterea
Acqua marina ondula rettilineo entroterra
Accadde martedì o ricordo erroneamente?
Al mercato odo richiami eloquenti
Annaspo madida, ora riposo eh…
A milano o roma era
Amato motore o ramato erpice?
Amabile moglie ordisce ratto estemporaneo
Ambedue mischiavano oscenità rose endecasillabi
Anoressico marinaio ondeggia remando esperto
Azzurro moderato occhieggia rosa esaltato
Aritmia mistica origlia rossore esilarante
Anno millenovecentonovantasette orsù recò emozioni
Angelo m’ode recitare endecasillabi

Giosetta Fioroni, "Cuore astratto" (1986)

 

Mercoledì, 7 Marzo 2007
spazio


Sono molto
irrequieta
quando mi legano
allo spazio.

Alda Merini Aforismi

 

Mercoledì, 7 Marzo 2007
Disegno te

Diciamocelo pure, non ci siamo amate subito. Il tuo odore non mi era piaciuto quella prima mattina d’agosto, era un odore che stava attaccato all’asfalto, non volava da nessuna parte, e anche il grigio, che mi aveva abbracciata uscendo, era fisso, immoto. Invece da subito ho amato il tuo fiume, come di un uomo che non ti dice nulla ti piacciono magari le labbra, e ti ricordano le labbra di un altro che ti piaceva davvero, e intero. Ecco, io ho amato subito la tua senna- tu che parigi non sei- la tua grande esse che ancora ora dall’alto mi incanta. I tuoi ponti, la southbank, il tuo essere mille cose insieme, lo skyline che muta sempre, i tuoi palazzi che sembrano giocattoli. C’è stato un anno che ogni sera al binario di vauxhall mi ipnotizzavano tre palazzi che crescevano a vista d’occhio e sopra ad essi sembravano esserci dei grandi libri aperti. Che meraviglia sai essere. Adesso che sono lontana , e proprio in questi giorni che la natura si prepara ai fuochi d’artificio dei colori ( anzi le magnolie e gli albicocchi hanno già iniziato a fiorire) io disegno te, come se avesse senso, come se mi servisse, come se quella trama inesplicabile di esistenze che tu contieni sprigionasse ora e più di allora , attraverso il tempo e lo spazio, la sua malìa. Come se i conti non fossero chiusi. Ti ho dipinta anche oggi, come se ti amassi più di quanto ti amavo.

 

 

Venerdì, 9 Marzo 2007
Pecore al buio

Nel buio di velluto della stanza ho sentito un impercettibile respiro.
Giovanni?
Ho contato le pecore, erano 129 ma non riesco a dormire lo stesso.
Vai , torna in camera, ricontale che erano di più.
Silenzio. Sale sul letto e con le mani inizia a tastare, la piccola mano percorre i promontori delle gambe, le vette dei piedi. Il suo toccare mi fa immaginare le nostre forme dall’alto. E rivedo nella mia mente i lavori amatissimi di Domenico Gnoli, i suoi straordinari dormienti.
Cerca un pertugio, un canyon per intrufolarsi. Lascio fare per un po’ , sperando che desista. Dopo cedo, sposto la gamba e lo lascio passare. Per una volta che succederà mai. Si stende tra me e Normaton che dorme e non ha sentito nulla.
Grazie che mi hai salvato dal buio.
Buonanotte , comunque le pecore erano di più.

 

Martedì, 13 Marzo 2007
Renewable

Un tempo lavorava per una grande compagnia petrolifera. Vide il mondo, dai mari del Nord al Medio Oriente all’Africa prima di iniziare un lavoro d’ufficio per quella stessa compagnia in una grossa metropoli europea.
Ma qualcosa cresceva dentro di lui. All’inizio era solo un seme, una possibilità, nata da letture estemporanee e pensieri . L’estate capitava di trovarlo in riva al mare, assorto , e alla compagna che gli chiedeva cosa c’era che non andava lui rispondeva che tutto quel vento era energia, energia che andava sprecata.
Iniziò a coltivare quel seme, quei pensieri. Si comprava sempre più libri sulle energie alternative finchè decise che a quarant’anni non era tardi, che soprattutto in quella città non lo era, che poteva provarci. Si iscrisse all’open university, ed iniziò a studiare con metodo, il suo metodo, le energie rinnovabili. Diventava studente ogni sera dopo essere stato papà. Studiava e scriveva tra passione e fatica. Non mancarono gli attimi di sconforto ma neppure le risate, e la sua compagna racconta ancora adesso un aneddoto legato ad uno studio dettagliato che lui doveva presentare sulla quantità e la tipologia dei rifiuti domestici.
Si dovevano separare per una settimana i rifiuti in almeno dieci categorie, per poi pesarli rigorosamente e tabulare i dati. Un giorno lei, esasperata, non sapendo dove mettere un involucro scintillante che plastica non era fece l’unica cosa scientificamente logica: lo mangiò. E quando la ricerca finì, lei provò un piacere enorme nel buttare la spazzatura nel secchio sotto il lavello.
Prese il coraggio a due mani ( tre se le avesse avute). Lasciò il lavoro per completare i suoi studi. Erano intimoriti entrambi ma andarono avanti come fanno i funamboli sulla corda . Scelsero di tornare a vivere in campagna in una dimensione diversa. Un anno e mezzo rimase alla scrivania, a studiare, a cercare faticosamente il bandolo della matassa. Era davvero un partire dal nulla. A volte era furioso che nulla accadeva, più spesso preoccupato perché con uno stipendio solo era dura, sempre di fronte a sé aveva chiarissimo l’obiettivo, e non si curava troppo se qualcuno gli diceva che forse avrebbe dovuto adattarsi a fare un lavoro diverso. Lui voleva lavorare per un’energia pulita.
Un giorno qualunque, arrivò il lavoro che gli piaceva fare, senza squilli di tromba, né compensi scintillanti. Persone che la pensavano come lui sedute alla scrivania accanto, gli stessi entusiasmi, grandi progetti e gente comune che telefona per sapere e sceglie di avere un impianto fotovoltaico sopra il tetto. Così un uomo di quarant’anni si trasformò da geofisico in tecnico di energie rinnovabili, rinnovando anche se stesso, nel profondo. Perché rinnovarsi è un modo di essere, che sia l’energia, che sia la tua vita.


Jean-Michel Folon

 


Jean-Michel Folon

 

Mercoledì, 14 Marzo 2007
Tre aquiloni

Li ho visti all’improvviso emergere dal gioco dell’intrecciarsi dei rami degli alberi. Tre aquiloni di metallo, altissimi e fieri sul loro lungo ed arcuato stelo, lanciati lassù e lassù vedette, piccole vedette cui verrebbe da chiedere Che c’è, chi arriva, cosa c’è là in fondo, si vede Venezia laggiù?
Un incanto, un tuffo al cuore, vederli all’improvviso da lontano. Presenze discrete e furiosamente poetiche, evocatori di venti, incantatori d’uomini dal cuore bambino, cartina di tornasole dei ricordi, libertà che si veste di metallo e sta lì perché i passanti vedendola ne riassaporino il desiderio.
Arriva lei e le chiedo. E lei racconta, Giovanni li ha creati subito dopo la nascita del loro primogenito. Si spiega il volare alto e insieme di questi tre.
Vedessi cosa sono quando c’è vento, i movimenti, i suoni… aggiunge. E io resto lì, col naso all’aria. Non so neanche quanto.

 

 


 

Venerdì, 16 Marzo 2007
Buco della serratura

Non so neanche di preciso quando ho iniziato. So che alle medie due supplenti (e non la mia insegnante) mi dissero che ero brava e che era il caso che io ci pensassi. Mi dissero entrambi che avevo il senso della materia. Mi ci sono voluti almeno quindici anni per capire davvero cosa voleva dire ma capivo che intendevano che io potevo dipingere. Di lì a poco vidi il film su Van Gogh con Kirk Douglas. Mi fulminò la storia di quell’uomo e dev’essere stato così che iniziai. Chiesi di poter comprarmi i colori ad olio. Ricordo la mia prima copia fu di un capriolo dormiente, credo di Segantini. Mi perdevo dentro i fili della paglia sulla quale il capriolo giaceva e provavo a riprodurli uno ad uno. Che fatica.
Da allora la pittura è stata sempre al centro della mia vita. Ho studiato, ho visto, ho dipinto. Molto. I miei lavori sono stati visti qua e là. Apprezzati, anche. Non vivo di pittura ma la pittura mi fa vivere. Ho sempre scelto le mele al supermercato pensando di poterle dipingere subito al rientro. Poi spesso le mangio e basta.
Avere gli occhi da pittore è un regalo del cielo.
Mia madre dice a volte Di te non avrei mai pensato che saresti diventata pittrice, tuo fratello sì che era bravo e all’asilo ha disegnato la banda e il disegno era così bello che l’hanno lasciato appeso per mesi . Comunque sta cambiando anche lei, attraverso la pittura (un po’ di pittura al giorno, toglie lo stereotipo di torno). Una volta quando un mio lavoro le piaceva era un segnale certo che stavo dipingendo male. Lei diceva Bello dopo essere stata in mansarda, e a me si accartocciava lo stomaco dalla preoccupazione. Ora mi rendo conto che non è più così, lei dice Bello e non è detto che non lo sia. Brutto e non è detto che sia bello.
Io lavoro e sto qua. Mi si chiede a volte Ma per chi li fai, ne hai già tanti che non ci stanno più. E io rispondo nell’unico modo possibile . Li faccio per me. Che senza non riesco a stare. Banale come può sembrare quest’affermazione, è vera come è vero che mi chiamo laurette. J
Apro un buco della serratura sul mio studio provvisorio : ore quattro meno dieci di ieri.

 

Domenica, 18 Marzo 2007
Morte di un moscerino


Morì alle quattro e venticinque di sabato 17 marzo 2007 a pagina 113 di Magazine. Aveva volato incurante a mezz’aria tra la pagina 112 e il nostro naso. Era la pagina dell’arte . Tre volte l’ho scacciato e poi con gesto repentino l’ho schiacciato. E con Tommaso ragioniamo ora sull’universo infinito che per un moto d’ira ha un essere vivente in meno e che un istante prima di morire con un fremito di una zampetta sembrava volerci dire qualcosa. Giochiamo certo, ma per gioco continuiamo e proviamo a chiederci la ragione di tutto questo. Perché, percome, percosa. E ci accorgiamo che la pagina dove questa piccolissima morte è accaduta è una pagina importante, perché parla di prevenzione e cioè di vita. Tommaso sorride mentre io scrivo che è la pagina che con lo slogan mi volio bene e un sorriso d’olio su bruschetta e occhi ciliegini pubblicizza la settimana nazionale per la prevenzione. Dal 16 al 25 marzo. Perché come recita la LILT (lega italiana per la lotta contro i tumori) Prevenire è vivere.
nessun tag

 

Martedì, 20 Marzo 2007
Lettera ad una donna che sta piantando un bosco

L’ho visto stamattina a duecento metri dal semaforo. Vicino al distributore dove un giorno tu ed io ci salutammo dopo aver fatto visita a mia madre in ospedale, ricordi? Là, sulla sinistra, c’è un bosco di ulivi secolari, un uliveto. Se tu fai come i pittori che con le mani si tolgono dal campo visivo quel che non vogliono vedere e copri le grosse zolle negli enormi contenitori, ti sembra di essere nel Salento, o forse nella piccola isola di Othoni dove scattò delle bellissime foto Normaton. O in Toscana, o in Liguria. E invece è qui , subito dopo il semaforo, una cittadina a caso del nord est, alberi grossi che da sola non potrei chiuderli in un abbraccio, tantissimi, che una volta nei vivai ne vedevi due tre di così grandi mentre ora non si contano. Per un bosco di ulivi secolari al semaforo c’è una folla di persone che andrà al vivaio e se li porterà a casa, insegnando ai propri figli che tutto si può avere, e subito, basta avere i soldi. E che si compra anche il tempo. E allora ti ho pensata, tu che l’altra sera nel nostro trimestrale incontro al saloon mi raccontavi che stai piantando un bosco di piccole piante autoctone e selvatiche nel campo. Ti vedo sai, e dal giardino di casa tua, che era prato quando ci conoscemmo e che ora ha alberi alti che da tanto dura la nostra amicizia, da lì ti vedo- amareggiata dal mondo e del mondo innamorata- che vai sul campo. Lì senza fretta metti a dimora queste piccole piante che altri estirperebbero non vedendo gli alberi del futuro che esse sono. E il tuo bosco esiste già, invisibile ai più.

Salento, Normaton)
Mercoledì, 21 Marzo 2007
Appartenenze

Appartengo a un’infinità di gruppi di persone. Da quando sono nata, fino a quando morirò. Vedo questi gruppi sfaldarsi e ricomporsi in un caleidoscopio che mi definisce e mi accoglie. Gruppi, sottogruppi. Gruppi reali, altri ideali. Grandi e piccoli. Qualche scelta e molto caso.
Gruppi fortunati che durano una vita (l’insieme delle persone che ogni giorno sulla faccia della terra mangia più volte al giorno e a volontà), altri inconsistenti e fragili che durano pochi minuti (il gruppetto di pedoni che con me attende al semaforo di poter passare). Gruppi buoni per una stagione (il tempo di imparare a nuotare) altri un po’ di più, un anno scolastico, una gita , qualche anno, ore o per sempre. Gruppi che valgono il tempo della mia ragione (appartengo al gruppo di persone che vota a sinistra), altri la cui ragione mi sfugge.
E poi il gruppo di chi crede che la pittura non è finita, né finirà. Di chi ha scelto di avere figli e stremato verso le otto di sera si chiede perché non hanno il pulsante on/off . Di chi ha gli occhi castani e da innamorata verdi. Di chi ha un blog e non è un passatempo .Quello di chi sa cos’è la malattia e la combatte. Di chi ogni tanto fa un saltello senza ragione. E quando gli viene il singhiozzo non passa più. Di chi è stato povero, beve acqua di rubinetto, scalda il pane vecchio. Fa fatica a guardare la televisione. Di chi ha fumato non fuma più e davanti a un plotone d’esecuzione chiederebbe davvero un’ultima sigaretta. Di chi non è ambizioso e così si frega. Di chi la perfezione non sa dove stia di casa (salvo sentirsi certi giorni un perfetto acchiappafarfalle).Di chi il 21 marzo augura buona primavera.

Wassily Kandinsky, Farbstudie Quadrate

 

Martedì, 27 Marzo 2007
11.37, 27-3-2007

su tela, stanza dei bambini
Lo stridio delle rondini
Bambini con i baffi da latte
I vecchi quando si commuovono
Un uomo che ti fa sentire sua con un solo gesto
O sguardo
Il primo temporale dell’anno
Reclinare il capo all’indietro
Che ti aspetti la casa che tu aspetti
Asfalto bagnato
Il fiorire
I passaggi a livello
Odore di benzina
Annuncio all’aereoporto
Pasqua
Orizzonte
Scarpe nuove
Andare in bici senza mani
Vestirsi di bianco la domenica
Bere vino con un’ amica
Cena a casa il sabato sera
Candela sul tavolo
Primo giorno di scuola da professore
Ultimo giorno di scuola da professore
E di tuo figlio
Il verde e nero dei tigli
Villa palladiana avvolta nel velluto verde della collina
Primo caffè del mattino
Abbraccio di un amico
Cucinare con i bambini
Ridere con la cassiera
Alba
La domenica mattina
Viaggiare di notte
Pioggia sul tetto
Caldo alla pelle

Laurette, Trittico del fiorire ,
particolare, cm 90×90 ognuno, olio

 

Giovedì, 29 Marzo 2007
Un’emozione e due pensieri sulla scuola

Mi sono svegliata alle sei con la stessa sensazione che si ha quando si deve andare in gita, quando si parte, quando finalmente arriva qualcosa che si aspettava da tanto, un amico che torna, la neve. Sapevo che sarebbe stato un’emozione tornare dopo sei mesi, che lunedì l’oncologo mi ha detto Se si sente può riprendere. E’ stato più forte di quanto credessi. La scuola, che tanto male viene dipinta dai giornali, come se dentro vi accadesse qualcosa di orribile che non accade fuori, credo sia ancora una scatola delle meraviglie, vivaio del futuro, bosco di dopodomani. Lungo il corridoio ancora deserto ne ho risentito l’odore venirmi incontro, tra brividi di gioia e un desiderio, di insegnare a lungo, che è tra i lavori più belli del mondo. Odore di scuola. Luogo dove i ragazzi crescono dentro di giorno se è vero che il loro corpo cresce di notte, luogo di contraddizioni e piccole certezze che germinano. Forza, non smetto di percepirne la forza, dentro quelle mura, nei cortili alla ricreazione dove le ultime corse di bambini incrociano i passi di chi da un giorno all’altro vedi grande. Potenziale enorme. Se c’è qualcosa di malato nella scuola è quella stessa cosa che è anche fuori, dove la cultura della diversità è ancora un miraggio e la barbarie dell’apparenza una realtà che punge più dell’agrifoglio. Dove il sesso e l’ uso del corpo svuotato di valore viene usato , mandato in onda e messo in mostra ovunque, e mi pare a volte che anche la homepage di Repubblica stia cambiando, con tutte quelle figurine sulle donnine ine che clicco anch’io ogni tanto come a seguire una grande mamma che mi porta nel fosso e dopo aver guardato le figurine mi chiedo Embè? Se questo proponiamo ovunque, questo impareranno i ragazzi, e la superficialià resterà nell’aria , dragone difficile da combattere tra i banchi la mattina. (Cosa stiamo diventando ? Cosa siamo diventati? In che cosa stiamo trasformando il benessere materiale?) L’educazione spetta a voi disse l’anno scorso una madre in una riunione. E il punto credo che sia proprio qui, perché invece l’educazione spetta a tutti e non solo alla scuola. Tolto quel po’ di marcio che c’è ovunque, la scuola è un posto dove si lavora, e bene, e i ragazzi imparano nella trama complessa e mutevole dei nostri tempi. Questo credo, questo ho percepito anche stamattina, dopo sei mesi che ne ero lontana.


 

Venerdì, 30 Marzo 2007
La trottola

Un filosofo si tratteneva sempre dove c’erano bambini a giocare. E quando vedeva un ragazzo con una trottola, si metteva subito in agguato. Non appena la trottola girava, il filosofo la inseguiva per prenderla. Che i bambini facessero chiasso e cercassero di allontanarlo dal loro giocattolo, non gli importava; se riusciva a prendere la trottola, mentre ancora girava, era felice, ma solo un istante, poi la buttava via e se ne andava. Credeva infatti che la conoscenza di ogni inezia, dunque anche, ad esempio, di una trottola che gira, fosse sufficiente per conoscere l’universale. Perciò non si occupava dei grandi problemi; gli pareva antieconomico. Conoscendo realmente la minima inezia, è come conoscere tutto; perciò si occupava soltanto della trottola girante. E ogni qualvolta si facevano i preparativi per farla girare, aveva la speranza che vi sarebbe riuscito, e quando la trottola girava, mentre la rincorreva ansimando, la speranza gli diventava certezza, ma poi, quando si trovava in mano quello stupido pezzo di legno si sentiva male e le grida dei bambini che fino a quel momento non aveva udite e ora invece gli colpivano improvvisamente le orecchie, lo facevano fuggire, sicchè andava barcollando come una trottola sotto una frusta maldestra. Franz Kafka, The top, 1920 (l’ho letto qui)