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Accademia di belle arti di Venezia. L’ho frequentata negli anni dal 1981 al 1985. Ho fatto la pendolare e penso sempre che non essermi fermata a vivere a Venezia sia stato uno degli errori della mia vita. Ho preso 103 all’esame di licenza dal corso di pittura ( così recita il mio diploma firmato Guido Perocco), tra i miei voti più bassi (ventisei) c’è proprio quello d’incisione (ah ah).

Bruno. Il nome di mio padre. Bruno Giordano quello del maggiore dei miei due figli. Anche l’attore che fa l’angelo ne “Il cielo sopra Berlino” si chiama Bruno, Bruno Ganz.

Barbacan.La galleria della mia prima personale di acqueforti e puntesecche , presentata da Marco Goldin. In vetrina esposi un piccolo ritratto di mio padre che fumava. Era il 1988.

Castelfranco Veneto La città della mia seconda personale da Flavio Stocco nel 1992. Esponevo un dipinto e venticinque incisioni. Incredibile, ma vero, Flavio Stocco riuscì a vendere il quadro, che prese la volta di Modena e non vidi più. Era un paesaggio dall’alto, il mio primo vero paesaggio in pittura.

Cartoline. Ne spedii centinaia verso la fine degli anni Ottanta, in un progetto che avevo dentro e del quale si conserva traccia in qualche vecchia agenda. Volevo abbracciare il mondo con le mie incisioni-cartolina, volevo mettere le mie opere in mano alla gente , ai postini soprattutto, figure che mi sono sempre piaciute tanto. Spedivo queste cartoline ai miei amici , ma anche a sconosciuti che abitavano dove mi serviva si chiudesse l’arco di un mio abbraccio ideale. Annotavo meticolosamente i luoghi da dove spedivo e verso cui spedivo. Era bellissimo, com’è bella l’utopia ed essere liberi.

Da Gioz. L’ho conosciuta nel 1988, sotto i portici del Barbacan. Mi colpì subito il suo modo di parlare d’arte, semplice ma sempre incisivo ed illuminante. Nacque un sodalizio che dura tuttora. Abbiamo stampato notti e notti insieme nel garage della casa di mia madre, la ruota a stella del mio torchio fu per diversi mesi il timone che ci guidava dentro il paesaggio in un percorso parallelo. Esponemmo insieme ad Asolo, e più tardi a Monza e Venezia oltre che in diverse collettive.

Emozione. Una delle mie più grandi è quella dello spazio. Da sempre. Una volta ero seduta con mia madre nel giardinetto verso la strada della casa dove sono nata. Eravamo sedute su una panchina che aveva fatto mio padre con l'ingegno che dimostrava in ogni suo gesto. Mia madre sedeva accanto a me, ricordo che mi stava leggendo qualcosa, dev'essere stata l'unica volta in tutta la mia vita. Aveva sempre troppe cose da fare, ed era un lusso che non si poteva permettere. Mio padre la chiamò, con la severità che conoscevamo bene, non della cattiveria, che non gli apparteneva, ma delle cose che dovevano essere fatte. Quel suo chiamarla così forte mi fece trasalire perchè allontanò in un istante da me una perla di felicità che per la prima volta conoscevo, la felicità delle parole scritte , lette e condivise nella vicinanza affettuosa dei corpi .Non ricordo niente, dopo, non il correre di mia madre per vedere cosa c'era da fare, non il giungere di mio padre perchè lei si affrettasse. Ho nella mente invece la visione chiarissima della mia casa dall'alto, in un movimento lento di macchina che mi portava su e mi teneva sospesa in alto. Sono certa che là è nata la mia ossessione per le visioni dall'alto, questa idea del tirarsi fuori dagli affanni, da ciò che non comprendi perchè ne sei invischiato e ti fa male, e invece dall'alto osservare, dall'alto attendere, dall'alto capire il disegno e trovare un nuovo equilibrio, un nuovo centro per poi tornare giù, a riprendere da dove hai lasciato.

Friedrich. La prima volta che andai all’estero, fu per andare a vedere “Le bianche scogliere di Rugen” nella collezione Oskar Reinhart di Winterthur. Avevo circa venticinque anni. Ci rimasi incollata per ore. L’emozione che mi diede quel dipinto si intreccia a quella che provai appena preso il taxi fuori dalla stazione ferroviaria della cittadina svizzera. Sconosciuta la lingua, sconosciuti i luoghi, sconosciute le persone, ero io stessa una sorta di viandante sopra il mare di nebbia, e ricordo esattamente il brivido che provai.

Genova. Nel 1990 segnalarono la mia opera in un premio di incisione al Museo di Villa Croce. Era l’incisione “Natale 1988”.

Gina. Il nome di mia madre.

Handke. E’ per lui,che sono partita e andata in Inghilterra nel 1996, per quel suo pensiero che una volta letto non mi lasciò più, ed anzi mi lampeggiava dentro come un faro: “Sradicare gli altri è il peggiore dei crimini, sradicare se stessi la massima conquista”.

Incisori trevigiani del Novecento. Era il libro che stava preparando Goldin quando lo conobbi nel 1987. Arrivò a casa mia il due di giugno , festa della repubblica, sollecitato da una conoscente. Con la sua Fiat Uno bianca. Insegnava storia dell’arte in un liceo di Castelfranco e aveva appena iniziato a occuparsi d’arte contemporanea. Gli mostrai i quadri scuri che avevo esposto due stagioni prima a Ca’ Nani, la sede municipale del mio paese, figure di donne enigmatiche che emergevano dal buio e che ora campeggiano nel salotto di mia sorella. Mi disse: “Se mi fai delle belle incisioni,ti inserisco nel libro che sto scrivendo”. Fu così che iniziai a muovere la punta.

Jacopo, il mio secondogenito.

Kingston. Il coraggio uno non è che ce l’ha sempre, tutti i giorni tutti. Appena arrivata a Londra riuscii a superare il colloquio per un posto in un Master all’Università di Kingston. Rifiutai dopo un bel po’ di notti insonni. L’ambiente mi era parso asettico, poco artistico davvero. Mi è capitato più volte di pensare che sia stato un errore di giudizio . O forse doveva andare così. Una volta tanto me la presi con comodo e frequentai per due tre stagioni la Heatherley’s School of Fine Arts. C’era un’atmosfera molto creativa, sbucavano modelli e modelle da tutti gli angoli, gli insegnanti giravano con la mug del te . Si lavorava tanto. Imparai tante tecniche nuove, tra queste il monotipo serigrafico e il carborundum che avrei approfondito successivamente a Camberwell . Il mio tutor era Gorge Levantis, di origine greca. Mi disse subito che mi portavo appresso una borsa troppo pesante. Ora che l’ho alleggerita un po’, capisco che aveva ragione. E sento sollievo alla spalla.

Londra. Vi ho vissuto per sette anni. Mi ha segnato, la porto sempre dentro di me. Non odora di pane come Parigi, ma la amo lo stesso, adesso. La prima mostra che vidi lassù fu una grande retrospettiva su Cezanne, l’ultima una bella antologica su Freud. Ho conosciuto e amato lassù la pittura di Auerbach (specialmente gli straordinari ritratti dai segni franti), quella imponente di Kiefer, spinosa di Sutherland, rabbiosa di John Virtue, crepuscolare e ferita di Hughi O’Donnogue, sensuale di Patrick Heron, poetica di Kiff, plumbea di Leon Kossoff. Soprattutto loro.

Maser. Ci sono nata il 22 novembre del 1963, proprio il giorno in cui hanno sparato a Kennedy. Quella mattina mio padre attaccò alla porta di casa un nastro così lungo da srotolarsi ed attraversare la strada e arrivare sino alla Brentella. Così mi hanno sempre detto. Io c’ho sempre creduto al punto d’averne l’immagine dinanzi agli occhi anche ora.

Messina. Allestii una mostra personale nel 1995 alla Libreria Ciofalo. Mi presentò Guido Giuffrè, in una sera ventosa, la libreria gremita di gente. Le sue parole contenevano e ben indicavano il motore ed il senso del mio operare. Il caso volle che quella sera Giuffrè, Stefano ed io indossassimo tutti e tre l’impermeabile bianco. Chi ci abbia incontrato quella sera dopo la mostra deve aver pensato ad una singolare apparizione, tutti e tre con l’impermeabile gonfiato dal vento a parlare di pittura cercando un ristorante che Giuffrè ricordava e non c’era più. L’indomani vidi lo straziante dipinto La Resurrezione di Lazzaro del Caravaggio nel museo della città. Quelle linee oblique mi trafissero.

“National Print Exhibition“. Si tiene ogni anno a Londra, alla Mall Galleries, a un tiro di schioppo da Buckingham Palace. Nel 2000 premiarono un mio carborundum in copia unica e vi esposi per due edizioni successive. Anzi non era una copia unica, ora che ci ripenso, erano due le copie che ricavai da quella fortunata matrice, l’altra la regalai a Goldin quella volta che con Ketty e le figlie venne a trovarci in Clifton Road. Li portai a vedere Richmond Park e tra le risate generali Marco mi fotografò accanto ai cervi dicendo che erano delle foto doverose da portare in Italia per i miei collezionisti. Quella sera mangiammo gnocchi a volontà, ricordo che Veronica e Maddalena mi aiutarono a tagliarli e a rigarli con la forchetta. Avevano ancora bisogno della sedia per poter raggiungere agevolmente il piano di lavoro.

Ottorino Stefani. Come ci parlava dei Tre filosofi e della Tempesta là all’Istituto Magistrale in viale della Vittoria mi segnò di sicuro. Certo crebbe anche per merito suo la mia voglia d’arte e appena finii le superiori, feci l’esame di ammissione all’Accademia.

Orizzonte- Senza l’orizzonte, o fosse anche il suo tremulo baluginare per un istante, io sono niente. A Londra mi mancava e tenevo stretti in pugno come fossero perle quei quattro posti dai quali si poteva vedere, e penso soprattutto a Richmond Hill e Hampstead Heath. Poi fu una grande emozione salire in mongolfiera a Vauxhall e vedere la città dall’alto , l’orizzonte intorno come il grande ovale di un abbraccio. E grazie a Dio lo feci in tempo, di lì a poco la mongolfiera apparve desueta ed anacronistica rispetto al London Eye della South Bank e il pallone aerostatico fu portato altrove , lasciando un vuoto nel cielo della città.

Printmaking - Frequentai un Master di incisione a Londra negli anni dal 1998 al 2000. Fu un’esperienza fondamentale, forse la più importante lassù da un punto di vista artistico insieme alle visite assidue alla Print Room del British Museum. Si impara che il mondo è vasto, pieno di gente che lavora sodo e di storie anche molto diverse dalla nostra. Fu un senso di vertigine dapprima (come quando da bimbo ti capita di vedere un formicaio e ti stordisce la frenesia, l’apparente caos del movimento delle formiche), ma che poi si trasformò in una ricchezza che ora so non potrò perdere. Del mio tutor (Paul Coldwell) ricordo sempre il consiglio di lavorare in modo tale che il nostro lavoro dell’ora migliore non sfiguri accanto a quello dei grandi, grandi come Rembrandt, per intenderci. Mi sembra sempre così bello.

Paolo Padoan. E’ il webmaster di questo sito. A vederlo sembra una figura a metà strada tra quelle di Chagall e quelle di Folon. Di sicuro come quelle figure vola alto, con le sue poesie e i suoi disegni e dipinti.

Quaranta suonati. “Quarant’anni li voglio festeggiare in Italia” dissi un giorno al telefono ad un’amica, ed infatti eccomi qua. Ho lasciato la perfida Albione il 21 giugno del 2003 ed ora vivo a Cornuda, con la prospettiva di poter presto tornare presto a vivere a Maser, in via Calmoreggio .

Royal Academy. Vinsi un premio di cinquemila pound in una mattina di inizio estate del 1997. Sono quelle cose che capitano una volta due nella vita, l’impossibile che accade esattamente dentro i nostri giorni, c’è da crederci. Tra diverse migliaia di lavori scelsero il mio Twickenham Riverside per attribuirgli uno dei premi più importanti. Dalla stazione della metropolitana di Hyde Park Corner , dove ebbi la notizia al telefono, alla sede della Royal Academy vicino Green Park volai nell’aria frizzante. Arrivata alla cerimonia della premiazione la gente mangiava fragole e panna come mi aveva annunciato un’amica. Il mio nome fu pronunciato alla francese, che non è poi male.

Sacro contemporaneo. E’ la mostra che si è appena chiusa a Palazzo Sarcinelli. Mi hanno invitato a parteciparvi a luglio e mi ci sono tuffata a pesce. Per l’occasione ho scritto: “Nella mia pittura il sacro non era presente, se non in modo mediato, interposto. Avvertivo la sacralità aderendo al paesaggio - sul quale da tanto lavoro – anche nel momento della scelta, rigirando nella mente la sua rappresentazione.
Chiamata a lavorare su questo soggetto, ho sentito che dovevo percorrere un corridoio profondo,diretto e inevitabile: dovevo lanciare pensieri ed energie ed entrare nel sacro come la retta congiunge i due punti, verso la meta come il piccione viaggiatore, che non conosce il concetto di obliquità.
Ho lavorato partendo dall’esperienza personale e recentissima delle spine della vita. Disegnando quelle corone tracciavo segni come zampilli, uno di seguito all’altro, come sgorgassero naturalmente dal mio Golgota, in un pomeriggio di luglio, mentre Jacopo giocava con le macchinine sotto il portico e ogni tanto rientrava e mi veniva a chiedere “Ma perché non fai più i fiori?”. Le spine erano dentro di me.
Poi ho cercato tra i “ganci” della memoria, qualcosa che fosse radicato profondamente nella mia idea di pittura e nel mio rapporto con la fede, al mio dubbioso e incessante guardare lassù.
Nel colino rugginoso della memoria ho ritrovato tante suggestioni, da quelle lontanissime a quelle recenti, da Pascal a Friedrich, dalla calotta del cielo bucherellata degli antichi greci a Kiefer, da Wenders a Sebastiano del Piombo. Dalla candela di Tarkovskij a quella di Gerhard Richter.
Ho ritrovato tanti ricordi delle luci (candele, lumini, stelle), i petali di rosa del Corpus Domini, ma ancora l’idea della Passione. La croce. Il pensiero all’angelo custode. All’istante sacro in cui un bimbo avverte per la prima volta l’infinito e l’eternità.
Il tutto dentro il solito nuotare incessante nello spazio, capriole nell’immenso che sempre mi commuove, mi fa vibrare e rende leggera la mia densità. Mi costituisce. Spazio grande e blu senza il pensiero del quale non spicco il volo e diventano più lontane le stelle, espressione sacra della notte celeste.”

Seghers. Conobbi le sue incisioni dalle parole di Silvio La Casella, ma quando me le ritrovai in mano fu un sentimento di grandissima emozione intellettuale. E’ un mondo che mi appartiene,che ho dentro, modernissimo.

Scuola Media. Insegno materie artistiche nella scuola media di Maser che naturalmente è intitolata a Paolo Veronese. E’ una bella scuola, che guarda la campagna verso Caerano sapendo d’avere alle spalle le colline, e prima ancora le montagne.

Tigli. C’è un bellissimo viale di tigli, a Maser, proprio davanti la villa. E’come una calamita visiva per me. E’ la mia stella polare quando guardo il paesaggio dall’alto delle mie amatissime colline ma anche quando ho gli occhi chiusi, o sono lontana, intorno al ricordo visivo del viale dei tigli, si organizza e si intesse il paese dell’anima.

Ultimi lavori. Imiei ultimi lavori (febbraio 2006) sono sulla brace, la brace accesa e la brace che ha appena smesso di essere fuoco. E poi i tulipani, che trattengono, chiusi e silenziosi, il loro proprio mistero.


Venti pittori in Italia. Era il titolo di una mostra itinerante organizzata da Marco Goldin .Fu una bella storia. Ero sempre indaffarata a far incorniciare lavori da Adolfo, a far pacchi e ad andar dal corriere a Villorba per spedire . Non so se era primavera ma nel mio ricordo lo era, una primavera prolungata. Delle tredici mostre ricordo soprattutto quella all’Ex-Convento di San Francesco a Sciacca (per quell’occasione presi per la prima volta , e con grande emozione, l’aereo, seduta accanto a Veronica), quella alla Galleria Forni di Bologna e alla Galleria dello Scudo di Verona.

Vittorio Veneto. Ci vissi tre anni, dal 1993 al 1996, in una casina che sembrava quella dei sette nani. Una domenica pomeriggio (eravamo nel 1994), di ritorno dalla montagna, si fermò Marco Goldin con famiglia. Mi annunciò che voleva farmi fare una mostra alla casa dei Carraresi, avevo pochi mesi di tempo. In realtà i lavori c’erano già, ma lì, a Serravalle di Vittorio Veneto, appoggiato allo stipite della porta che dava sul giardino, nacque il quadro dei cachi, e venne perché doveva venire, senza fatica e necessario come un sogno.

Zotti. A Venezia ho frequentato il corso di pittura di Carmelo Zotti che mi ha spalancato le porte del suo mondo di esseri alati, mistero e dolcezza.